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Le retrospettive di Jake - Le avventure grafiche punta e clicca / Parte 1

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2015 10:08
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15/11/2014 15:04
 
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Già da fine anni Novanta nell'ambiente dei videogiochi si parla della morte dei punta e clicca. Alla fine, quando poi spunta fuori qualche perla non dobbiamo fare altro che ricrederci. Diciamo che Il caso più recente risale al 2012 con il trionfo di The Walking Dead, la cui coraggiosa ricerca di nuove declinazioni che modificassero le meccaniche classiche dell'adventure non rinnegava le radici di provenienza. Nonostante non manchino timidi segnali di rinascita, l’atteggiamento dell’industria mainstream verso questo genere rimane cauto, oscillando tra la diffidenza ed uno sprezzante disinteresse.
Gli anni in cui furoreggiavano le avventure LucasArts e Sierra sono lontani e, dal punto di vista informatico, sembrano essere trascorse ere geologiche. L’avvento delle console 3D e le rinnovate dinamiche di gameplay hanno definito standard ludici inconciliabili con le rigide meccaniche ed i tempi dilatati delle avventure classiche. A poco sono serviti i tentativi di far risorgere questo genere attraverso operazioni d'ibridazione quasi sempre risoltesi in derive action, che finivano per scontentare sia l'audience “consolaro”, sia i nostalgici di Monkey Island e King's Quest, confermando, se mai, il pregiudizio di chi vedeva in questa tipologia ludica un relitto del passato, anacronistico e non sufficientemente profittevole.
Se nonostante la loro travagliata storia, tra morti e improvvise resurrezioni, le avventura grafiche sono oggi vive e vegete è merito soprattutto delle storie che queste hanno saputo regalarci, lasciando un luminoso ricordo nella memoria di chi, con mouse o tastiera, le ha "vissute".
Per parlare di questo glorioso genere nel suo dettaglio non è facile, visto che bisogna per forza di cose partire dalle sue lontane origini, che affondano le radici all'epoca degli home computer, sino alle attuali declinazioni, ma cercherò di farlo nel migliore dei modi per farvi capire il fascino che suscitavano in me quando ero ragazzino e quello che potrebbe attrarre anche chi di voi non ha mai osato giocare un "punta e clicca" vista la scarsità o assenza stessa di adrenalina e azione contenuta in essa.



Ai primordi del genere, le avventure avevano ben poco di "grafico" e, per l'appunto, si definivano "testuali". Avevano un'interfaccia a linea di comando dove brevi descrizioni dovevano - come in un'opera letteraria - evocare interi mondi, usciti dallo schermo nero attraverso l'immaginazione del lettore-giocatore. Le interazioni avvenivano per mezzo del "parser", ovvero un algoritmo che permetteva il riconoscimento degli input testuali digitati da tastiera. I comandi consistevano in brevi frasi formate soltanto da verbo e sostantivo ("open door", "use key", "go north"). Spesso questa interfaccia costringeva ad una vera e propria lotta per individuare, passando attraverso estenuanti processi di "trial and error", l'esatto input richiesto dal gioco. D'altra parte, però, questa complessità (oggi difficilmente sostenibile anche per i giocatori più hardcore) rendeva possibile una libertà d'approccio agli enigmi ed alla loro risoluzione incomparabile a quella offerta dalle più moderne avventure punta e clicca.
Se Colossal Cave Adventure, creato nel 1976, è solitamente indicato come il prototipo d'ogni avventura testuale, il primo titolo di questo genere a conoscere una qualche forma di distribuzione commerciale fu Adventureland, uscito nel 1979 per gli home computer dell'epoca. Il merito d'una più larga diffusione delle avventure testuali va però attribuito alla serie Zork che, con la prima trilogia, uscita tra il 1980 ed il 1982, stabiliva nuovi standard per il genere con uno sviluppo narrativo che, sebbene ancora elementare, tentava d'andare oltre la descrizione d'una banale caccia al tesoro (unico obiettivo fornito al giocatore dal gioco).
Gli autori della prima trilogia introdussero, inoltre, un'interfaccia che superasse la semplificata sintassi nominale (verbo + sostantivo), consentendoci di formulare frasi moderatamente più articolate (come: "Kill troll with sword"), riuscendo a riconoscere anche articoli, preposizioni e congiunzioni!



Vero e proprio anello di raccordo tra le avventure testuali e quelle propriamente "grafiche" è Mystery House (foto sopra) con cui, nel 1980, la On-Line Systems esordì nel mondo dei videogiochi, rinominata poi, nel 1982, Sierra On-Line. Con una storia ambientata in una villa vittoriana, a metà tra Dieci piccoli indiani ed il Cluedo, la futura autrice della saga di King's Quest sostituì le descrizioni testuali con una rappresentazione "grafica" che rendesse finalmente visibile il mondo di gioco grazie a dei semplici disegni da lei stessa creati.
Nella locuzione "avventura grafica" la specificazione dell'aggettivo rispetto al sostantivo non si riferisce solo al tipo di rappresentazione ma anche alla sua interfaccia. Le interazioni gestite ancora attraverso parser rendono del tutto inappropriato indicare Mystery House come il primo rappresentante di un più moderno genere, rimanendo a cavallo tra "vecchio" e "nuovo". Un deciso passo in avanti è quello compiuto nel 1984 con il primo episodio di King's Quest con il quale, pur senza rinunciare ad un'interfaccia di tipo testuale, introduceva una visuale in terza persona arricchendo il mondo di gioco con una grafica incomparabilmente ricca e colorata rispetto al suo titolo precedente. Sfruttando al meglio la potenza di calcolo degli Apple II, per la prima volta gli input determinati dalle nostre interazioni avevano una risposta visiva: il personaggio si muoveva all'interno delle locazioni ed interagiva con esse in maniera finalmente non "astratta".
Per una vera interfaccia punta e clicca dovremo però aspettare l'arrivo degli Apple Macintosh che, con il loro paradigmatico sistema WIMP (acronimo che sta per: window, icon, mouse e pointer) rendevano possibile un'interazione più agile ed immediata, senza dover digitare linee di comando testuali. Nascevano così titoli come Enchanted Scepters (1984, dei Silicon Beach Software) dove sulla parte destra dello schermo permaneva la classica descrizione testuale dell'ambiente in cui ci trovavamo, mentre a sinistra avevamo a disposizione una rappresentazione grafica dello stesso, su cui potevamo cliccare con il mouse al fine d'interagire (aprire porte, raccogliere oggetti e così via).



L'anno seguente, MacVenture produrrà Déjà Vu (foto sopra) che migliorava l'impostazione grafica del titolo dei Silicon Beach Software aggiungendo gli stessi comandi ("examine", "open", "close", "speak", "operate", "go", "hit") presenti, più tardi, in quei classici Lucas e Sierra che domineranno la scena delle avventure grafiche per tutto il decennio successivo.
L'esordio della LucasFilm Games (verrà ribattezzata LucasArts solo nel 1990) nel campo delle avventure grafiche avviene solo nel 1986 con il tie-in del film diretto da Jim Henson e prodotto dallo stesso George Lucas, Labyrinth. Si tratta, in realtà, di un ibrido con molti elementi arcade. L'interfaccia, sebbene non ancora punta e clicca, era un compromesso tra le vecchie avventure testuali e i titoli MacVenture: invece di digitare i comandi da tastiera era possibile selezionare, da due appositi scroll, un verbo ed un sostantivo con i quali veniva a riprodursi la stessa sintassi che caratterizzava l'interfaccia parser dei primi titoli della serie Zork.



Per la realizzazione del titolo successivo, il celebre Maniac Mansion (foto sopra), gli sviluppatori appronteranno il celebre linguaggio di scripting denominato Scumm (Script Creation Utility for Maniac Mansion). Il primo titolo del grande game designer Ron Gilbert è senza dubbio una delle avventure grafiche che hanno maggiormente condizionato lo sviluppo del genere anche se, alla luce dei lavori della MacVenture, il suo peso andrebbe, almeno in parte, ridimensionato.
L'interfaccia punta e clicca, divisa tra azioni ed oggetti da combinare ed usare (che, nei titoli Lucas, ritroveremo, con poche varianti, almeno sino a metà degli anni novanta), per quanto più gradevole e funzionale, è infatti chiaramente ispirata a quanto già visto, due anni prima, in Déjà Vu. Il merito di Ron Gilbert è piuttosto quello di aver saputo coniugare differenti suggestioni (non solo l'interfaccia dei giochi MacVenture ma anche l’impostazione in terza persona della saga di King's Quest), combinandole in una perfetta alchimia che diverrà modello imprescindibile per i titoli che seguiranno, scalzando la Sierra dalla sua posizione, sino a quel momento, d’incontrastato dominio nell’ambito degli adventure.
La componente narrativa si sviluppa nelle forme d'una demenziale sit-com. L'introduzione di vere e proprie cutscene (per quanto brevi) è un'innovazione di straordinaria importanza per coinvolgere l'utente nelle vicende narrate. Purtroppo, però, lo sviluppo dell'intreccio è ancora sin troppo rattrappito perché possa suscitare un vero interesse nei giocatori, così come debole rimane la caratterizzazione dei personaggi. Il game design del gioco si riallaccia a quella concezione non lineare che era propria delle vecchie avventure testuali. Dandoci la possibilità, ad inizio gioco, di poter scegliere 2 comprimari (tra sei disponibili) affinché accompagnassero il protagonista nel dipanarsi dell'avventura, il titolo si prestava ad una forte rigiocabilità, grazie alle molteplici soluzioni offerte da una progettazione degli enigmi legata alle caratteristiche dei nostri compagni. Da non sottovalutare anche i grossi passi avanti compiuti in campo grafico. La potenza dei Commodore 64 permetteva uno scrolling orizzontale che emulava il movimento, propriamente filmico, delle carrellate laterali. Inoltre, la presenza di oggetti in primo piano, che coprivano i personaggi e lo sfondo, donavano alle inquadrature un ottimo senso di profondità.



Appena l'anno successivo, nel 1988 sarebbe uscito Zak McKracken and the Alien Mindbenders [SM=x2585038] (foto sopra). Sebbene non avesse la medesima carica innovativa di Maniac Mansion si trattava di un'avventura di più ampio respiro rispetto alla precedente e che prestava maggiore cura agli aspetti narrativi. Il titolo, tenta di offrire una sorta di satira della moderna società dei consumi, nella quale la stupidità sembra dilagare come un virus che passa attraverso le linee telefoniche. Nel frattempo la Sierra, eterna rivale della Lucas, si ostinava ancora nell'utilizzo dell'interfaccia parser. Dopo aver già inaugurato numerose serie di successo - Police Quest, Space Quest, Leisure Suit Larry. Con il quarto episodio di King's Quest, Sierra introduceva il suo nuovo linguaggio di scripting denominato SCI (che andrà pian piano sostituendo il vecchio AGI) e con esso il supporto per il mouse e le sound card, ma ciò nonostante i comandi dovevano ancora essere digitati da tastiera.



Il primo titolo Sierra a sfruttare un'interfaccia totalmente punta e clicca (sebbene un po' rudimentale e basata ancora sul vecchio AGI) è stato Manhunter: New York nel 1989(foto sopra), un'avventura in prima persona ambientata in un futuro cupo e violento che si discostava dalle tradizionali atmosfere fantasy della produzione Sierra. Il gioco risultava estremamente frustrante per via di pessime sequenze arcade ed enigmi decisamente poco chiari. Per avere la prima avventura punta e clicca in terza persona della Sieraa dovremo aspettare il 1990 con la pubblicazione di King's Quest V che implementava (altra caratteristica nuova per la serie) una splendida grafica in VGA.



Intanto la Lucas rispondeva con Indiana Jones and the Last Crusade sempre nel 1989 (foto sopra), rivolgendosi ai soli sistemi a 16 bit. Questo tie-in del film diretto da Spielberg è indubbiamente uno dei titoli che mostra maggiore coraggio, da parte degli sviluppatori Lucas, nello sperimentare innovative soluzioni di gameplay. Il gioco offre una vasta gamma di possibilità alternative nella soluzione degli enigmi. Sono inoltre presenti molte sequenze arcade e persino una sessione stealth. Gli sviluppatori diedero vita ad un game design articolatissimo, architettando una struttura reticolare nella quale era possibile assistere a segmenti narrativi differenti a seconda dei nostri approcci agli enigmi e delle scelte intraprese. Probabilmente però, la novità di maggiore peso fu l'implementazione del comando "parla" (esisteva già nelle avventure Sierra, ma solo attraverso comando testuale) che introduceva enigmi basati su dialoghi a scelta multipla. Purtroppo, nonostante questa importante introduzione, gravida di conseguenze e sviluppi per le futura produzione Lucas, la scrittura era alquanto scialba e l'intreccio si dipanava pigramente con un risultato piuttosto noioso.



Seguirà, l'anno dopo, uno dei pochissimi flop della LucasFilm Games, ovvero Loom (foto sopra). Il gioco ha un'ambientazione fantasy che si distacca nettamente dal resto della produzione della software house californiana, caratterizzandosi soprattutto per la sua bizzarra interfaccia. Il gioco non prevedeva inventario ed ogni interazione avveniva componendo melodie generate dalla combinazione di sole quattro note. Gli enigmi erano piuttosto semplici per gli standard dell'epoca e la durata dell'avventura non particolarmente estesa. Questa avventura abbandonava totalmente la libertà offerta dai titoli precedenti per abbracciare una linearità funzionale alla narrazione. La presenza, per la prima volta, di veri e propri "primi piani" manifestava la volontà, da parte dell'autore, di richiamare una grammatica visiva di chiara ascendenza filmica. Paradossalmente è nella qualità del racconto che Loom denota le sue maggiori carenze, soprattutto a causa del mancato accordo tra il registro epico e quello comico-demenziale.



Ma sempre nel 1990 nasce quella pietra miliare nella storia dell'intrattenimento elettronico che è The Secret of Monkey Island [SM=x2584254]. Con questo titolo gli sviluppatori riescono nell'intento di creare una vera esperienza narrativa smaccatamente cinematografica. L'autore di Maniac Mansion intuì che incanalare la libertà concessa al giocatore all'interno di binari ben definiti fosse necessario al fine di costruire una narrazione coerente e dal ritmo serrato, coniugando così interattività ed esigenze autoriali. L'importanza di The Secret of Monkey Island all'interno della storia dei videogame è dunque principalmente legata al determinarsi di un importante mutamento nel ruolo del game designer che, mai come in questo titolo, da giocattolaio si trasformava in regista e cosciente artefice d'una precisa rappresentazione.
Il gioco eliminava ogni possibilità d'imbattersi in "game over" e vicoli ciechi per scongiurare il rischio di un'interruzione brusca e "innaturale" del flusso del racconto. Nel loro demenziale nonsense, gli enigmi, mai troppo complessi, manifestavano con spiccata inclinazione goliardica per le trovate metaludiche e il tentativo di rendere scoperta l'assurdità sottesa ai meccanismi propri delle avventure grafiche. I perfetti dialoghi, magistralmente scritti, insieme ad un cast d'indimenticabili personaggi, contribuivano a confezionare un capolavoro senza tempo che inaugura l'epoca d'oro degli adventure.
Buona parte della storia delle avventure grafiche può essere riassunta nella rivalità tra Sierra e LucasArts. La prima si è soprattutto distinta per il coraggio nell'esplorare ogni nuova tecnologia come il VGA a 256 colori, il CD-ROM, il full motion video ed il 3D, al fine di costruire esperienze ludiche capaci di coniugare tradizione e sperimentazione. Meno prolifica della sua rivale, la LucasArts ha sempre confezionato le sue avventure con estrema cura, privilegiando all'innovazione tecnica, la scrittura comica e l'invenzione di personaggi entrati nell'immaginario di qualsiasi giocatore di vecchia data.
Dopo il grande successo di The Secret of Monkey Island l'avventura grafica si era ormai affermata come uno dei generi di maggior successo presso il grande pubblico. I grossi passi in avanti compiuti dall'hardware (l'arrivo dell'Amiga [SM=x2584290] e, qualche anno dopo, dei nuovi processori Intel 486) avevano reso possibile creare lussureggianti sfondi disegnati a mano e animazioni sempre più fluide.
Tra trovate demenziali ed infernali discese negli orrori del vodoo, attraverso universi fantasy e galassie lontanissime, la vasta produzione di questi due pilastri dell'industria videoludica ha impresso una traccia indelebile negli anni Novanta, lasciandoci il rimpianto d'un epoca irripetibile in cui le avventure grafiche hanno brillato di luce intensa. Un bagliore pian piano affievolitosi ma ancora vivo nelle nostre memorie videoludiche e nei molti eredi d'un genere che, come un'araba fenice, sembra sempre risorge proprio quando lo si è dato per spacciato.



Ad un solo anno di distanza dal primo episodio, Lucasarts tornò a lavoro per realizzare il seguito del suo fenomenale capolavoro ovvero The Secret of Monkey Island 2 - LeChuck's Revenge, perfezionando il progetto originario di un gioco a forte vocazione narrativa nel quale la linearità del gameplay fosse finalizzata a veicolare un racconto avvincente e coeso. Il gioco implementava due livelli di difficoltà: facile e difficile. In quest'ultima modalità Lucasarts sembrava voler rispondere a coloro che avevano trovato eccessivamente semplice il precedente capitolo, architettando enigmi stimolanti e riccamente articolati. Ancor meglio rispetto al titolo del 1990, il team di sceneggiatori riuscì brillantemente a fondere registri differenti: comico e grottesco, gotico e demenziale in una commistione di toni che teneva sempre vivo il coinvolgimento, culminando in un memorabile finale che ribaltava totalmente il punto di vista sulle vicende di Guybrush Threepwood. Graficamente il gioco beneficiava del passaggio ai 256 colori della VGA (standard che la Sierra aveva imposto già con il suo King's Quest V), mentre gli splendidi temi musicali della serie potevano per la prima volta avvantaggiarsi dell'iMUSE (interactive music and sound effects), un sistema che permetteva ai brani midi di adattarsi dinamicamente alle azioni del giocatore.



La Sierra rispondeva al capolavoro Lucas con il divertente Space Quest IV: Roger Wilco and the Time Rippers (in parte minato da scelte di design che rendevano il gioco troppo spesso frustrante) e, soprattutto, con King's Quest VI. Quest'ultimo rappresenta probabilmente il miglior risultato raggiunto dalla Sierra nel periodo che precede Gabriel Knight. Merito soprattutto della scrittura di Jane Jensen (aveva esordito appena l'anno prima con EcoQuest) che alla cura per la costruzione dei puzzle (estremamente complessi, come da tradizione Sierra) coniugava un'attenzione per il racconto del tutto nuova per la serie. A seconda delle scelte intraprese dal giocatore, l'intero arco narrativo (enigmi compresi) poteva mutare. Ogni ramificazione dello sviluppo narrativo confluiva, però, in un unico finale. La consueta propensione della Sierra a sperimentare con le più moderne tecnologie - che ha sempre distinto questa software house dalla più tradizionalista Lucas - si manifestava nelle animazioni, per l'epoca, particolarmente "naturali", ottenute attraverso la tecnica del "rotoscoping" (la riproduzione di disegni animati sulla base di scene girate "dal vivo").



Uno dei progetti più ambiziosi intrapresi della LucasArts fu, senza dubbio, Indiana Jones and the Fate of Atlantis del 1992. Libero da complessi d'inferiorità, il videogioco sfidava il cinema sul terreno del "fratello maggiore" e, appropriandosi d'un personaggio nato all'interno della dimensione filmica, non riadattava uno script pensato per il grande schermo (com'era accaduto con Indiana Jones and the Last Crusade) ma ne inventava uno del tutto originale. Il risultato fu un gioco che riusciva a coniugare la struttura non lineare di "Indy 3" alla compattezza narrativa della serie di Monkey Island, mettendo da parte la comicità demenziale e abbracciando invece, un registro decisamente più epico in linea con il personaggio dell'intrepido archeologo. Indiana Jones and the Fate of Atlantis era un autentico capolavoro di game design in cui, nonostante i molteplici bivi narrativi determinati da una complessa struttura reticolare, il racconto manteneva sempre coerenza ed efficacia. L'altissima rigiocabilità del titolo era assicurata dalla possibilità d'affrontare il gioco in moltissimi modi diversi (da soli o insieme a Sophia, la controparte femminile attraverso un approccio "ragionato" o arcade). Ogni scelta generava bivi che alteravano lo sviluppo narrativo con differenti locazioni e situazioni determinate dal nostro approccio al gioco anche da questo punto di vista non si è visto nulla che non fosse già stato fatto decenni prima.
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15/11/2014 16:45
 
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Bellissimo articolo, che nostalgia... [SM=x2584254]

Un piccolo appunto, Indy 3 venne sviluppato anche sugli 8 bit e mi sembra anche il primo MI...
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15/11/2014 17:29
 
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io mi ricordo ancora enigma, che tra l'altro non sono mai riuscito a finire.
ora vedo di recuperarlo
15/11/2014 17:34
 
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Re:
= D-Wade =, 15/11/2014 17:29:


ora vedo di recuperarlo




Per un appassionato come me, leggere questa cosa fa bene al cuore. Far tornare la voglia a chi ha giocato queste avventure da piccolo e far venire voglia di provarli a chi non li ha mai giocati. :mughini:

[Modificato da Jake"thesnake"Roberts 15/11/2014 17:34]
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15/11/2014 18:01
 
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Che meraviglia, Jake! [SM=x2584254]

Maniac Mansion per NES mi ha portato via parecchie notti. [SM=x2584263]

Monkey Island l'ho sempre giocato da "secondo pilota" con un mio amico.


Quanto ai primordi del genere, quante ore passate con "Avventura nel castello"! [SM=x3221968]
15/11/2014 18:17
 
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Se vi interessa il mio coinquilino come tesi di laurea ha sviluppato un software che permette di creare queste avventure in modo semplice e completo [SM=x2609528]

Sia mai che vogliate provare a fare qualcosa [SM=x2701864]


Purtroppo però mi ha detto che deve emigrare al 99% in Germania che è l'unico Paese in cui questo genere tira [SM=x3156162]
15/11/2014 18:21
 
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Re:
Steven Seagull, 15/11/2014 18:01:



Monkey Island l'ho sempre giocato da "secondo pilota" con un mio amico.






In questi giochi, ai tempi delle medie, giocarli in due o più persone era cosa normale. [SM=x2584186]

Tipo quando cercammo di finire Zac McKracken io altri due amici sul C64 di uno di loro. Fin qui nulla di strano se non fosse che glie lo aveva riportato originale lo zio dalla Svizzera ed era tutto in tedesco. Morale, uno mouse alla mano, un'altro a consigliare cosa fare al primo e il terzo con il vocabolario ITALIANO/TEDESCO a tradurre in qualche modo quello che leggevamo su schermo. [SM=x2584263]
15/11/2014 18:23
 
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Re:
Edward.Witten, 15/11/2014 18:17:

Se vi interessa il mio coinquilino come tesi di laurea ha sviluppato un software che permette di creare queste avventure in modo semplice e completo [SM=x2609528]

Sia mai che vogliate provare a fare qualcosa [SM=x2701864]


Purtroppo però mi ha detto che deve emigrare al 99% in Germania che è l'unico Paese in cui questo genere tira [SM=x3156162]




Bè, se pubblica il software freeware ed è davvero user friendly, la cosa mi interessa davvero! [SM=x2584265]
15/11/2014 18:26
 
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Re: Re:
Jake"thesnake"Roberts, 15/11/2014 18:23:




Bè, se pubblica il software freeware ed è davvero user friendly, la cosa mi interessa davvero! [SM=x2584265]




Io l'ho provato ed è uno spettacolo, appena torna a casa glielo chiedo
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15/11/2014 18:32
 
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Re: Re:
Jake"thesnake"Roberts, 15/11/2014 18:21:




In questi giochi, ai tempi delle medie, giocarli in due o più persone era cosa normale. [SM=x2584186]




Beh, mica solo alle medie! [SM=x2584263]

A parte i primi due Monkey Island, con un altro socio ho finito anche Blade Runner e Dracula: la Risurrezione.
Bei tempi. [SM=x2584284]
15/11/2014 19:36
 
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Re: Re:
Jake"thesnake"Roberts, 15/11/2014 18:23:




Bè, se pubblica il software freeware ed è davvero user friendly, la cosa mi interessa davvero! [SM=x2584265]




Una prima release la pubblicherà freeware, aspetta solo che si laurei visto che sta dando gli ultimi ritocchi e poi ti potrai divertire [SM=x2584191]
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17/11/2014 09:16
 
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zak mckracken [SM=x2584254]
gran pezzo jake, come al solito.
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17/11/2014 15:43
 
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Appena ho un attimo leggo anche questo, ma sbaglio o non hai citato Day of the tentacle?
17/11/2014 18:51
 
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Re:
Cuscuta Armilla, 17/11/2014 15:43:

Appena ho un attimo leggo anche questo, ma sbaglio o non hai citato Day of the tentacle?




Non ne ho citati a decine. [SM=x2584190]

Diciamo che ho citato il capostipite o i capostipiti di ogni periodo.
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18/11/2014 13:39
 
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Re: Re:
Jake"thesnake"Roberts, 17/11/2014 18:51:




Non ne ho citati a decine. [SM=x2584190]

Diciamo che ho citato il capostipite o i capostipiti di ogni periodo.



Non era una critica, pensavo che fosse (nel suo piccolo) più importante, io nei punta e clicca mi limito praticamente a Monkey Island e DOTT (che forse sono i giochi che ho 'finito' più volte).
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