Dario, nonostante la matassa intricata, vedo che il bandolo alla fine è spuntato. Non sono convinto però, sulla conclusione. Quello che vedi in Anderson come limite, io lo vedo (ed implicitamente tu stesso, lo ammetti), semplicemente come 'altro modo' per raccontare. Nè inferiore nè superiore allo stile di Foley (che più o meno chiunque, considera la 'vetta'). Come del resto non va esclusa a priori la possibilità che un domani Anderson, possa attingere anche a questo
stile. Anderson non è 'piatto', tanto quanto non lo è Foley, entrambi 'rotondi', solo in maniera differente. Gli esempi da me riportati sono a testimonianza del fatto, che spesso si ricerca in un character una verosimiglianza non necessaria (una profondità che non c'è), se lo scopo ultimo è quello del
piacere pertinente, del coinvolgimento emotivo (che non preclude la commedia, perchè dovrebbe?), dunque per forza di cose inferiore a nessuno (perchè non vi è una vera dualità). E' la lezione di Shakespeare, tra le righe dell'Enrico V, che ci consegna un personaggio con caratteristiche distinguibili, senza per forza di cose ricercare la pomposità di un monologo drammatico (anzi, dimostrando che questi, alle volte, è artifizio ancora più 'avvertibile' dell'altro).
Ektor, minchia?
A parte questo, un libro illuminante è
The Dream Society, di Rolf Jensen, di cui ahimè, non esiste traduzione.
E sugli spazi hai ragione, ho bisogno di editing.