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Questo mese tocca a Dogville, che non ho visto neache per intero, se contiamo i momenti di abbiocco e quelli persi a inveire contro il regista. Lars Trier (il von se l’è inventato lui per darsi un tono, pensate un pò che pirla), danese 50enne, figlio di un’alta dirigente comunista che gli diede una grandissima libertà ai tempi dell’infanzia, facendomi così rimpiangere la mancata introduzione dei metodi della Wehrmacht nella pubblica istruzione danese, che lo portò ancora bambino a girare i primi corti stimolato da uno zio documentarista, che spero adesso sia come minimo agli arresti domiciliari, con una cinepresa super8 regalatagli dalla mamma (ma ‘sta stronza non gli poteva regalare il Lego, come tutti?). A 17 anni s’iscrive alla scuola di cinematografia danese, ma viene respinto, segno inequivocabile dell’esistenza di Dio. In seguito riesce a girare un paio di film, con budget ridottissimi, stroncati in patria da critica e pubblico. Sfiga vuole che uno di questi vinca un premio del cazzo a Cannes ("miglior contributo tecnico", più o meno come se dessero un premio a un’attrice per le migliori tette), cosa che lo fa balzare agli occhi della miopissima critica europea. Poi per sbaglio azzecca un film, Le onde del destino, opera obiettivamente notevole che (oltre a essere così deprimente che al confronto Scene di un matrimonio di Bergman sembra L’aereo più pazzo del mondo) essendo girato totalmente con la macchina a mano, può essere visto senza soffrire di nausea solo da lupi di mare o gondolieri. A questo punto, Lars, che comincia a passare per un grande regista, aderisce, promuove e diventa l’esponente di punta del movimento artistico Dogma 95, che sosteneva, tra le altre cazzate, che un film andava girato senza luci, senza scenografie e senza musiche. Ed è leggendo il decalogo di Dogma 95 che mi sono accorto che von Trier non solo non è un genio, ma è anche il più grande paraculo della storia del cinema dai tempi di Roger Corman. Infatti, il bastardo, del suddetto decalogo adotta solo le regole che gli permettono di abbassare mostruosamente i costi dei film, da lui ovviamente prodotti, col risultato di girare con due lire, fare discreti incassi da film d’autore e intascarsi cifre da film di Natale. E’ con Dogville che la sua paraculaggine sfiora il sublime; essendosi ormai fatto un nome in Europa, assolda grandi attori haollywoodiani che accettano di lavorare quasi gratis in un film da festival per rifarsi la verginità. E noi, per fare arricchire questo qui, dobbiamo sorbirci Nicole Kidman, James Caan e Lauren Bacall che recitano in un teatro vuoto, con le case disegnate per terra, la ridicola e noiosissima storia di una ragazza che scappa da un gangster, si rifugia nella cittadina di Dogville dove tutti l’aiutano per circa cinque minuti, poi per il resto del film la trattano come una merda e se la ciulano. Siccome però lei è scema ma non del tutto, quando il gangster, che poi è suo padre, arriva, fa sterminare tutti gli abitanti. Tutto ciò per dimostrarci che, dietro l’apparente perbenismo di una cittadina, si cela il marcio. Pensato un pò che messaggio nuovo e sorprendente!