00 30/12/2020 10:57
Un clima di tensione veleggia sul sistema calcio italiano. Un nervosismo scaturito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate che ha definito inapplicabile le agevolazioni fiscali legate agli atleti professionisti che rientrano nel cosiddetto “regime degli impatriati”.

I vertici del Fisco, dopo aver consultato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, hanno chiarito che per i nuovi calciatori stranieri e gli italiani rientrati nel nostro Paese dopo almeno due anni di assenza non sono applicabili i benefici del Decreto Crescita, vale a dire un risparmio del 50% sulla tassazione degli stipendi.

Come evidenziato da Repubblica, la cancellazione del regime agevolato previsto dal Decreto Crescita del 2019 costerebbe alla Serie A tra i 140 e i 150 milioni di euro.

La Federcalcio ha scritto ai Ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e a quello per le Politiche Giovanili e lo Sport, Vincenzo Spadafora, per manifestare la propria preoccupazione, ma è soprattutto a livello informale che si è mosso il pressing politico di Gravina e Dal Pino.

L’azione dei due presidenti, rispettivamente di FIGC e Lega Serie A, un effetto rassicurante lo ha prodotto: il Mef, secondo quanto è stato riferito ai vertici dello sport italiano, non condivide affatto la circolare dell’Agenzia delle Entrate che spaventa i club e i vertici del calcio italiano. La circolare avrebbe effetti retroattivi, in un anno già di per sé sanguinoso, e produrrebbe un incremento dei costi.

Un esempio dell’aumento dei costi per le società: Zlatan Ibrahimovic in estate ha stipulato un contratto annuale con il Milan con uno stipendio da 7 milioni di euro netti proprio grazie a questo vantaggio fiscale: al Milan quella cifra, al lordo, costa “solo” 9,17 milioni, invece di 12,25 milioni. Anche il basket ne subirebbe effetti devastanti, se si pensa che Belinelli e Datome sono stati riportati in Italia anche grazie a quella norma.