Album: Somewhere in Time
Artista: Iron Maiden
Genere: New Wave of British Heavy Metal
Per parlare di questo disco dobbiamo necessariamente fare un passo indietro. E' il 1985, e i Maiden girano il mondo con il colossale World Slavey Tour, megaproduzione che propone i pezzi dell'ultimo platter Powerslave (1984) e i migliori del repertorio della Vergine. Durante questo estenuante tour, i rapporti in seno alla band iniziano ad incrinarsi, Adrian Smith inizia a sentire la "tourneite", e in generale i membri del gruppo non sono più così uniti. Iniziano i primi screzi (McBrain che litiga con un roadie operchè a suo dire lo ha distratto durante un assolo di batteria), ma fortunatamente la toruneè finisce e c'è un po' di tempo per ricaricare le pile.
Non troppo, perchè come espresso più volte da Harris la vita a quel tempo era "reheasal, studio, rehearsal, tour" (prove, registare un disco, prove, ancora concerti) perciò la band inizia a scrivere nuovo materiale, questa volta incentrato sul futuro, sui viaggi nel tempo; anche musicalmente si asisste ad un radicale cambiamento: se prima i pezzi dei Maiden erano relativamente brevi, veloci, incazzosi (con qualche eccezione, vedi la lunga Rime of the Ancient Mariner) su questo disco appaiono marcati svolazzi prog, suite lunghe e intricate e...i sintetizzatori. Molti fan gridarono allo scandalo a quel tempo, poichè la Vergine era il simbolo dell'Heavy duro e puro. Ma analizzando il disco, esso contiene delle vere e proprie perle.
Apre le danze "Caught Somewehere in Time", e subito si nota la strada intrapresa dai Maiden: non più un opener veloce e immediato, ma un pezzo lungo e complesso, con un chorus molto easy ma di grande impatto. Degna di nota la cavalcata di Harris tutta in terzine. Belle anche le armonizzazione del sempre valido duo Murray/Smith, mentre Dickinson è la solita
Air Raid Siren.
La seconda song è uno dei classici della band, la famosa Wasted Years, scritta da uno Smith sconsolato durante il WSTour. Arrangiamenti molto hard-rock style (non è un mistero che l'autore sia stato influenzato da questo genere), e un testo nostalgico e quasi sconsolato, ripreso bene dal ritornello: "Don't waste your time always searching for those Wasted Years". Anche qua abbiamo una melodia assimilabile al primo ascolto, e un assolo di chitarra ottimo.
Si prosegue con l'ottima Sea of Madness, scritta sempre da Smith. Questa è forse la canzone più longeva del lotto, al primo ascolto forse fa un po' storcere il naso, ma col passare del tempo si rivela essere una buonissma composizione: degni di nota lo stacco centrale pulito e il riff portante.
Heaven Can Wait è il vero classico di questo disco, oltre 9 minuti di stacchi, cori ruffiani e assoli ben fatti. Questa è la più prog del disco, emblematico il fatto che l'autore sia Harris.
The Loneliness of the Long Distance Runner riprende un po' la struttura della precedente, ma qui il protagonista è McBrain che fa correre gli altri musicisti. Forse la meno convincente.
Stranger in a Strange Land si regge su un riff di Harris in terzine cadenzato, e si assiste ancora d uno stacco centrale con assolo incociato tra lo stesso basissta e Dave Murray. Canzone convincente, fu estratta come singolo.
Deja Vù è la più controversa del disco: per molti è una cagata, per me invece una piccola perlina nascosta: tralasciando un testo illeggibile per banalità, il resto è ottimo: arrangiamenti curati, riff armonizzati convicenti e un bridge che da solo vale la canzone.
Si chiude con un tentativo di replicare il capolavoro Rime of the Ancient Mariner. Se in questa canzone l'argomento era l'omonimo poema di Coleridge, ora il personaggio omaggiato è Alessandro Magno, e proprio così si chiama il pezzo: Alexxander the Grate. Molto evocativo, carico di feeling, e diversi stacchi e cambi di tempo. Conclude il disco in maniera adeguata.
Questo disco fu l'inizio della fase "tastierizzata" dei Maiden, proseguita con l'enorme 7th Son of a 7th Son, unanimemente considerato il capolavoro della band. Le atmosfere richiamano il film blade Runner, anche la fantastica copertina (contenente oltre 80 citazioni della storia della band) vede un Eddie catapultato nel futuro dopo essere risorto dall'antico Egitto. Questo è il mio album preferito di tutti i tempi, lo ascoltati alla noia, a volte lo rimetto su e la godibilità è sempre la stessa. Sicuramente, molto sottovalutato.