Il ministro cisgiordano Ghnieli sul futuro Stato palestinese

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TheRealm
00sabato 30 luglio 2011 11:47
Maher Ghnieli, ministro per il Muro e la colonizzazione della Cisgiordania, ci riceve infatti dopo una lunga anticamera. È un uomo di mezza età, laureato in ingegneria in Siria e specializzato a Parigi.
Ha trascorso tutta la vita tra il tentativo di dare alla Cisgiordania acque e strade e gli uffici di Fatah, il partito politico che fu di Arafat, oggi guidato da Abu Mazen. Negli ultimi 15 anni ha ricoperto ogni incarico, tecnico e politico, fino a diventare ministro.
Tre guardie del corpo, tutt'altro che prestanti, controllano il suo ufficio. Prima che si aprano le porte dello studio, fanno in tempo a dirci quante persone, ogni giorno, si affaccino qui per chiedere al ministro di trovare una soluzione al conflitto.
Ghnieli lo sa: il suo ufficio elegante è circondato da cartine che evidenziano i confini dello Stato e la barriera di sicurezza. Il pensiero non gli dà tregua. Dopo una stretta di mano, in un inglese affannato, esordisce infatti prendendo la rincorsa: «Dovete smetterla di chiamarli insediamenti. Sono colonie. Gli israeliani sono partiti da piccoli villaggi e poi si sono presi tutto: e nel 1948 è arrivata la fine per noi».

DOMANDA. Ministro, siamo ancora al 1948?
RISPOSTA. No, purtroppo. Il peggio, se possibile, è arrivato dopo: dal 1967 Israele ha occupato anche la West Bank e Gaza. E ora stanno provando a toglierci anche questo.
D. La politica del muro?
R. Gli israeliani hanno un progetto. Usano ragioni di sicurezza per tagliare i palestinesi dalla loro terra. Vogliono impedire la creazione del nostro Stato.
D. Ora, però, c'è l'Onu.
R. All'assemblea generale possiamo contare sul supporto di almeno 120 Paesi amici. Lì si può fare qualcosa.
D. Ma in Consiglio di sicurezza l'America ha già detto che metterà il veto.
R. Il Consiglio di sicurezza vale poco. Ci sono molte altre decisioni che non sono state rispettate e che avrebbero evitato tutto questo. La risoluzione 242 e la 181 hanno stabilito i confini, ma tutti sanno che fine hanno fatto.
D. Se gli americani bloccano la discussione al Palazzo di Vetro il processo di pace ha ancora una chance?
R. Noi dobbiamo crederci. Abbiamo due soluzioni: negoziare con Israele o appellarci alla giustizia internazionale. La condizione in entrambi i casi è che l'esercito israeliano smetta gli attacchi contro la nostra gente: perché le persone, quando sono provocate, reagiscono.
D. La violenza non è mai stata da una sola parte. C'è il rischio di una terza intifada?
R. Tutto è possibile. Noi stiamo lavorando per evitarlo. Ma la gente è stanca, vuole vivere una vita normale. Non crediate che sia solo una questione dei palestinesi: ogni famiglia del mondo, se costretta nelle nostre condizioni, reagirebbe in questa maniera. Ma noi spieghiamo ai nostri uomini che se usano la violenza fanno il gioco israeliano.
D. Quale?
R. Israele vuole che i palestinesi siano violenti, così può costruire il muro e chiuderci in un ghetto dicendo che è per ragioni di sicurezza. E, naturalmente, a loro volta possono usare la violenza.
D. Il muro però ha fermato il 95% dei kamikaze palestinesi.
R. Se la barriera fosse stata veramente una questione di protezione, l'avrebbero costruita lungo il confine. Invece si spinge centinaia di metri dentro alla nostra terra: il 10% della West Bank ci è stata portata via. E la nostra gente vive difficoltà immense: i bambini non possono andare a scuola, gli agricoltori non hanno accesso ai campi, l'economia langue.
D. Speravate in una reazione diversa del mondo occidentale?
R. L'Europa è nostra amica: fa molto per supportare l'Autorità palestinese e ci sostiene economicamente. Il problema però è che l'Europa non interviene sul campo: lascia che Israele ci attacchi. Non fa pressione sul governo di Benjamin Netanyahu perché cambi politica.
D. E l'America?
R. L'anno scorso Obama prese una posizione contro gli insediamenti che fu molto apprezzata. Eravamo ottimisti: pensavamo di aver trovato una nuova sponda. Ma ora si è rimangiato tutto e chiede a noi di ingoiare il fiele.
D. Obama supporta la politica dei due Stati.
R. Sì, ma solo a parole. Non è colpa sua, credo che sia una buona persona, vittima di conflitti interni. Israele controlla l'America con interessi economici.
D. Anche voi palestinesi avete sempre mosso molto denaro. Perché non siete stati in grado di creare una lobby come quella israeliana?
R. Noi dobbiamo agire triangolando sul resto dei paesi arabi, questo è quello che possiamo fare.
D. L'anno scorso, quando furono pubblicati i documenti segreti sulle trattative in corso con Israele, emerse che eravate disposti a rinunciare al ritorno dei profughi.
R. Quelle erano carte preliminari, non era una posizione ufficiale.
D. Siete pronti o no a rinunciare al diritto al ritorno?
R. No, non rinunceremo al ritorno dei palestinesi. Né ad essere pagati per tutto quello che abbiamo subito.
D. Esistono dei contatti ufficiali in questo momento con il governo israeliano?
R. No, la loro agenda in questo momento è come il muro: una prova di estremismo. E la cosa pericolosa è che il popolo, gli israeliani, li segue. Persino il partito labourista di Ehud Barack, in questo momento, sta fermo con le mani in mano. Ma è bene che lo sappiano: così le chance per la pace diminuiscono.
D. Voi dovete fare la vostra parte. Fatah ha stretto la mano di Hamas, ma del governo di unità nazionale non si è più saputo nulla.
R. Siamo rimasti arenati sul nome del primo ministro. Loro non vogliono Salem Fayed, il nostro candidato. Ma noi non vogliamo un uomo di lotta: dobbiamo formare un governo tecnico, che serva solo a traghettare la Palestina fino alle prossime elezioni.
D. Hamas è disposta a rinunciare alle armi?
R. Dicono di sì e io non posso rispondere per loro. Questo è un momento delicato. Ogni segno può essere interpretato nel modo sbagliato.
D. Il resto del mondo arabo è in fermento. Il nuovo clima aiuterà anche voi?
R. Io credo di sì. La gente vuole democrazia e giustizia e ha imparato a guardare fuori dai confini di casa, grazie a Internet. Ma ci vorrà tempo: bisogna preparare il tessuto sociale per il cambiamento. Gli egiziani ci stanno lavorando su. E anche noi.


(lettera43.it)

Quali sono i possibili sviluppi a questo punto?
@Chaos@
00sabato 30 luglio 2011 11:53
entro pochi mesi in palestina scoppiera' una rivolta antigovernativa (quindi contro Hamas e Fatah) a opera dei giovani palestinesi, sulla spinta di quello che sta succedendo in siria e in egitto, la rivolta scoppiera' a Gaza e se non la stroncano subito nel sangue probabilmente portera' a una nuova politica all'interno dei territori.
Questo significa che la terza intifada sara' molto diversa dalla seconda meno religiosa e piu' incentrata sui temi economici e soprattutto piu' potente a livello comunicativo.
The REAL Capt.Spaulding
00sabato 30 luglio 2011 11:54
sono molto d'accordo con quello che dice lui.


io credo che la primavera araba non sia finita e sicuramente anche in Palestina si senta questo vento. tra poco i protagonisti della seconda intifada avranno 30 anni e una nuova generazioni di ragazzi frustrati, ma più istruiti sarà di nuovo promotrice di una rivolta.


Non credo che il fondamentalismo islamico abbia oggi il fascino che aveva 10 anni fa. Se sarà intifada sarà si violenta ma assumerà altre forme.


@Chaos@
00sabato 30 luglio 2011 12:01
Re:
The REAL Capt.Spaulding, 30/07/2011 11.54:

sono molto d'accordo con quello che dice lui.


io credo che la primavera araba non sia finita e sicuramente anche in Palestina si senta questo vento. tra poco i protagonisti della seconda intifada avranno 30 anni e una nuova generazioni di ragazzi frustrati, ma più istruiti sarà di nuovo promotrice di una rivolta.


Non credo che il fondamentalismo islamico abbia oggi il fascino che aveva 10 anni fa. Se sarà intifada sarà si violenta ma assumerà altre forme.





la gente che e' tornata da gaza a maggio mi ha raccontato parecchio fermento, la frontiera con l'egitto e' finalmente aperta quasi tutti i giorni e gli scambi con i ragazzi egiziani sono molto proficui sia a livello politico che a livello economico, Gaza e' distrutta ha pochi palazzi in piedi ma un internet point accesso si trova sempre tanto per capirci, e i ragazzi li sono tanti sono il 30-40% della popolazione...
Non a caso il primo progetto in cui hanno chiesto aiuto agli occidentali (soprattutto italiani) arrivato con il convoglio e' l'istituzione di un media center funzionante.
Il futuro e' quello, in Palestina si tornera' a fare politica si spera come si faceva negli anni 60 e 70.


TheRealm
00sabato 30 luglio 2011 12:40
Re:
@Chaos@, 30/07/2011 11.53:

entro pochi mesi in palestina scoppiera' una rivolta antigovernativa (quindi contro Hamas e Fatah)



come mai antigovernativa?
@Chaos@
00sabato 30 luglio 2011 12:42
Re: Re:
TheRealm, 30/07/2011 12.40:



come mai antigovernativa?




perche' fatah e hamas sono 10 anni che non risolvono un cazzo mentre vivere nei territori e' diventato sempre piu' difficile, e' evidente quindi che non sono una guida ideale per la palestina.
I palestinesi faranno come gli egiziani e i siriani manifesteranno al grido "que se vayan todos".
The REAL Capt.Spaulding
00sabato 30 luglio 2011 14:16
cmq c'è un altro pericolo abbastanza consistente, ovvero che la situazione precipiti ancora in Libano, in quel caso di nuovo ci sarebbero coinvolti siriani e iraniani, Israele potrebbe intervenire abbastanza duramente sentendosi legittimato senza badare alla diplomazia.
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