La ricetta di Mussolini che salvò l'Italia dalla crisi (vespa inside)

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Dead Man Drinking
00giovedì 8 novembre 2012 11:59
Poiché è stata la crisi del 2011-12 a suggerire l’idea di questo libro, e a fronte delle difficoltà incontrate dal go­verno Monti nel taglio della spesa pubblica, può essere interessante vedere come se la cavò Mussolini nell’altra Grande Crisi del secolo scorso. Come ogni regime dittatoriale, il fascismo spendeva grosse cifre per la difesa:all’inizio della crisi es­se rappresentavano il 32 per cento del bilancio statale, contro il 14 de­gli stanziamenti per opere pubbli­che. Ora, negli anni successivi al 1931, il bilancio della Difesa fu ta­gliato del 20 per cento, mentre lo stanziamento per opere pubbli­che fu quasi raddoppiato. («Nei primi dieci anni del mio governo­ - amava puntualizzare il Duce- si è speso in opere pubbliche più di quanto abbiano speso i governi li­berali nei primi sessant’anni dal­l’Unità d’Italia»). Il bilancio della polizia, altra po­sta strategica del regime, fu decur­tato del 30 per cento, come quello della Giustizia, mentre gli stanzia­menti per le Colonie furono ridot­ti quasi del 50 per cento. Colpisce, invece, che non sia stato tagliato di una sola lira il bilancio della Pubblica istruzione. Nonostante la scuola fosse uno dei settori sui quali Mussolini puntava mag­giormente (famoso lo slogan «Libro e moschet­to »), l’istruzione non fu mai veramente «fascistiz­zata », perché tra gli stessi in­segnanti fascisti erano pochi quelli che accettavano di svuotare la scuola della sua funzione culturale appiatten­dosi completamente sulle esi­genze del regime. Furono ridotti del 20 per cento anche i servizi fi­nanziari, malgrado i robusti inter­venti per salvare banche e impre­se. Nella prima metà degli anni Trenta il bilancio dello Stato oscil­lò tra i 19 e i 21 miliardi di lire. Nel­l’esercizio finanziario 1930-31 il disavanzo fu limitato al 2,5 per cento, ma dall’anno successivo passò via via dal 20 al 35, per ridi­scendere al 10 nel biennio 1934-35 .

Per farvi fronte, non volendo ri­nunciare alla parità aurea nono­stante la svalutazione del dollaro e della sterli­na, Mussolini fu costretto in cin­que anni a di­mezzare le ri­serve d’oro della Banca d’Italia. Gli inasprimenti fiscali raggiun­sero il picco nel 1934 con l’aggravio delle imposte sugli scambi e sulle successioni. Fu lì che il Du­ce disse «basta», con una frase che suonerebbe ancor oggi di notevo­le buonsenso: «La pres­sione fiscale è giunta al suo limite estremo e biso­gna la­sciare per un po’ di tempo as­solutamente tranquillo il contri­buente italiano e, se sarà possibi­le, bisognerà alleggerirlo, per­ché non ce lo troviamo schiacciato e defunto sotto il pesante far­dello ». (...) La diffusione delle biciclette e delle tramvie ex­traurbane aveva favorito il pendola­rismo tra campagna e città, cosicché si for­mò una potenziale nuova classe lavoratrice che i sindaca­ti cercarono di arginare, difenden­do gli operai urbani. I sindacati fa­scisti chiesero la riduzione del­l’orario lavorativo settimanale a 40 ore a parità di salario: l’Italia fu il primo paese al mondo a intro­durre tale misura fin dal 1934, una scelta così avanzata che è ancora in vigore quasi ottant’anni dopo. (…)

Nel 1933 il regime modificò radi­calmente il sistema assicurativo pubblico creando l’Istituto nazio­na­le fascista della previdenza so­ciale (Infps), dotato di gestione autonoma. Prima della fine del decennio, furono appron­tati diversi ammortizzatori sociali,come l’assicurazio­ne contro la disoccupazio­ne, gli assegni familiari e le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a ora­rio ridotto. Per compensare i sacri­fici chiesti ai lavoratori e alle loro famiglie con le riduzioni salariali, il regime predispose «una serie di servizi sociali e di possibilità ricre­ative, sportive, culturali, sanita­rie, individuali e collettive, sino al­lora sconosciute o quasi in Italia e che influenzarono largamente il loro atteggiamento verso il fasci­smo e soprattutto quello dei giova­ni che più ne usufruirono». (...) In un paese ancora povero, in cui pochissimi bambini potevano permettersi le vacanze al mare, fu provvidenziale l’istituzione delle colonie estive, i cui ospiti passaro­no da 150mila nel 1930 a 475mila nel 1934. Nel 1926, un anno dopo la sua costituzione, l’Opera nazio­nale dopolavoro contava 280mila iscritti, che un decennio più tardi erano saliti a 2 milioni 780mila, per raggiungere i 5 milioni alla vigi­lia della seconda guerra mondia­le: quasi il 20 per cento dell’intera popolazione italiana. Gli aderenti godevano di alcune forme di assi­stenza sociale integrativa oltre a quella ordinaria, della possibilità di fruire di sconti e agevolazioni e, soprattutto, di partecipare a una lunga serie di attività sportive, ri­creative e culturali.

Agli adulti la tessera del dopolavoro dava dirit­to a forti sconti su ogni tipo di sva­go: dai cinema ai teatri, dai viaggi alle balere, dagli abbonamenti ai giornali alle partite di calcio. Tut­ti, iscritti e non, avevano diritto ­se bisognosi- alla refezione scola­stica, a libri e quaderni gratuiti,al­l’accesso a colonie marine, ai cam­peggi estivi e invernali, all’assi­stenza nei centri antitubercolari. (...) Rexford Tugwell, l’uomo più di sinistra dell’amministrazione americana, pur collocandosi ideo­logicamente agli antipodi del fa­scismo, riconosceva che il regime stava ricostruendo l’Italia «mate­rialmente e in modo sistematico. Mussolini ha senza dubbio gli stes­si oppositori di Roosevelt, ma con­trolla la stampa e così costoro non possono strillare le loro fandonie tutti i giorni. Governa un paese compatto e disciplinato, anche se con risorse insufficienti. Almeno in superficie, sembra aver com­piuto un enorme progresso. Il fa­scismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto. E ne sono in­vidioso».

[SM=x3102791]
AtomBomb
00giovedì 8 novembre 2012 12:16
Bisognerebbe analizzare le misure, senza pregiudizi ideologici, togliendo nomi e cognomi e vedere se sono cose di buon senso o meno.

Vivere sempre col pregiudizio ideologico impedisce di rubare ad altri le buone idee che possono avere.
Dead Man Drinking
00giovedì 8 novembre 2012 12:20
Re:
AtomBomb, 08/11/2012 12:16:

Bisognerebbe analizzare le misure, senza pregiudizi ideologici, togliendo nomi e cognomi e vedere se sono cose di buon senso o meno.

Vivere sempre col pregiudizio ideologico impedisce di rubare ad altri le buone idee che possono avere.




beh oddio nel dopo guerra le nazioni democratiche vincitrici ebbero uno sviluppo molto maggiore del italia fascista, nonostante tutte subirono la grande depressione
AtomBomb
00giovedì 8 novembre 2012 12:22
Re: Re:
Dead Man Drinking, 08/11/2012 12:20:




beh oddio nel dopo guerra le nazioni democratiche vincitrici ebbero uno sviluppo molto maggiore del italia fascista, nonostante tutte subirono la grande depressione


Io non dico che fossero buone idee, o che vadano copiate, era un intervento di "metodo".

Oppure, Vendola [SM=x3025988] (che copia da Hollande) [SM=x3017588]



@Chaos@
00giovedì 8 novembre 2012 12:46
Re:
AtomBomb, 08/11/2012 12:16:

Bisognerebbe analizzare le misure, senza pregiudizi ideologici, togliendo nomi e cognomi e vedere se sono cose di buon senso o meno.

Vivere sempre col pregiudizio ideologico impedisce di rubare ad altri le buone idee che possono avere.



l'italia nel 1933 perse il 33% della sua produttivita' rispetto al 1929, questo perche' gran parte della sua produzione industriale (per volere del fascismo) era orientata verso l'industria pesante (difesa e opere pubbliche) settore particolarmente in crisi soprattutto in quegli stati importatori di materie prime (la Germania dovette fare il colpo dell'occupazione della Saarland per evitare le importazioni di carbone e materie prime).
Al crollo dell'industria pesante segui' il crollo dell'indotto circa 50k piccole e medie imprese falliro a effetto domino nel solo quadriennio 1929-1933, il campo aperto lasciato dalla piccola borghesia in declino fu occupato dai grandi monopoli industriali e finanziari verso i quali il regime spese piu' di 10 miliardi di lire in sovvenzioni, di contro il governo ebbe modo di acquistare direttamente o attraverso terzi un gran numero di obbligazioni e azioni dei gruppi industriali che operavano monopolio di mercato, in tal modo riusci' a mettere uomini chiave all'interno dei gruppi finanziari piu' influenti del paese, la creazione dell'IRI fu una delle conseguenze di questa politica orientata al controllo della produzione.

Il salario medio degli operai di contro si abbasso di circa il 50%, parte del quale era versato "volontariamente" a sovvenzioni verso i sindacati corporativi.

la situazione nel settore agricolo fu anche peggiore a causa dell'abbassamento dei prezzi alla vendita dei prodotti agricoli, gran parte dei piccoli propietari terrieri furono costretti a vendere ai grandi operatori di mercato ediventaro in seguito mezzadri o braccianti per coprire i debiti dati dal mancato pagamento delle tasse e dei debiti contratti, in quest'ottica " battaglia del grano" ebbe un effetto devastante sull'economia italiana, costringendo decine di migliaia di piccoli agricoltori ad abbandonare leloro colture tradizionali (dalla canapa al riso) per indirizzare la loro produzione verso il grano che sul mercato veniva comprato unicamnte dal governo a prezzi stracciati, nonostante questo l'Italia non smise mai di importare grano estero(fino alle sanzioni).

Di contro l'Unione Sovietica non subi' alcun contraccolpo dalla crisi economica mondiale...

Tufio
00giovedì 8 novembre 2012 13:34
Che cazzata, mussolini è stato un mediocre statista.

Perchè si può appunto guardare ad esempi molto migliori.

Danyiltopo
00giovedì 8 novembre 2012 15:27
75% [SM=x2631402]

Ma puttanissima la trinità! [SM=x2584918]
el_mariachi93
00giovedì 8 novembre 2012 17:39
per non parlare poi della " quota 90"
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