Una vera e propria tempesta finanziaria si sta abbattendo ormai da diversi mesi sulla Turchia e il sell off dei Titoli di Stato dell’ultima settimana è solo l’ultima delle conseguenze di una scellerata politica economica messa in atto dal rieletto presidente Erdogan. Lo spettro di una crisi in stile Argentina si fa dunque sempre più concreto e a peggiorare le cose c’è il timore che a un collasso dell’economia non potrà far seguito un intervento del FMI, date anche le recenti frizioni tra l’egemone turco e il presidente Trump e più in generale per l’isolamento in cui lo stesso Erdogan sta spingendo il proprio Paese. Ma andiamo per ordine, raccontando come nelle ultime due settimane la lira turca sia ulteriormente affondata nei confronti del dollaro , superando quota 5,40, e dell’euro, nei confronti del quale ha toccato un nuovo minimo a quota 6,32 . Livelli inimmaginabili solo fino a un anno fa e che nemmeno le più pessimistiche proiezioni dei contratti a termine erano riusciti ad avvicinare: basti pensare che lo scorso dicembre, con il cambio a 4,54, i forward a 2 anni davano un target a 5,92 e di 6,63 sulla scadenza triennale. Con i minimi odierni, sono stati sufficienti 8 mesi per coprire la performance che inizialmente si stimava dovesse essere realizzata in 30 mesi e così anche le analisi basate sui contratti a termine sono state smentite. La crisi ha interessato in queste ultime ore in maniera inevitabile anche i Titoli di Stato turchi, con il decennale che ha sfiorato il 20% di rendimento e il biennale oltre il 22%, in un contesto che vede una totale sfiducia degli investitori internazionali sul breve termine, come dire che il Tesoro turco è costretto a pagare più sulle emissioni che rimborserà fra 24 mesi che su quelle a 10 anni, un chiarissimo segnale di quanto sul breve periodo in pochi vogliano puntare ancora sulla Turchia.
I motivi che stanno portando a una crisi di una simile portata sono molteplici ma tutti riconducibili alla ostinata convinzione che Erdogan nutre nei confronti della politica monetaria: a suo dire un aumento dei tassi di interesse nonsi rende opportuno e anzi, nei confronti della Banca Centrale di Ankara, che pure da tempo ha manifestato l’intenzione di voler mettere in campo misure di emergenza ( non ultima, l’aumento di disponibilità della liquidità in dollari per 2,2 miliardi di dollari dello scorso lunedì) , ha esercitato finora una forte pressione che ha impedito qualsiasi operazione di salvaguardia. Il prossimo meeting della Banca centrale è in programma a settembre ma a meno di un intervento di emergenza come quello dello scorso 23 maggio ( un aumento dei tassi di liquidità di 300 bp), il rischio è che ci si arrivi con un tasso di cambio a nuovi record storici.
L’ottusità ormai conclamata del Presidente turco, in carica dal 2002 e ormai a tutti gli effetti il più longevo leader dai tempi della fine dell’impero ottomano e la caduta di Ataturk, ha allontanato gli investitori internazionali e sta spingendo il Paese verso il baratro, con un’inflazione che ha raggiunto il 16% .
Insomma, questi tra un pò saltano, a meno che Erdogan non venga appeso a testa in giù