Re: Re: Re:
Les grossman, 24/09/2013 14:45:
w l'itaglia
ma piuttosto la questione alitalia come è tornata in auge?
perfavore spiegamela in 2 righe come se la spiegassi a un bambino delle elementari (
), se hai voglia.
Da quello che ho capito, ci sono un sacco di debiti, non c'è redditività e quindi si va in giro col cappello in mano.
Air France presenterà proposte per una ristrutturazione del debito da 1,1 miliardi di Alitalia. Questa l'indiscrezione riportata dall'agenzia Bloomberg citando Les Echos, secondo il quale Air France ritiene che le necessità finanziarie di Alitalia non sono colossali.
Secondo Les Echos, la proposta di ristrutturazione del debito di Alitalia da parte di Air France sarebbe accompagnata da condizioni e termini precisi: "Per limitare i rischi, Air France-Klm sarebbe pronta a partecipare a una ricapitalizzazione di Alitalia e ad acquistare i titoli che non trovano acquirenti, in modo da assicurarsi il controllo della compagnia ma senza passare la soglia del 50%, al fine di non dover consolidare il debito di Alitalia".
Non si tratterebbe di cancellare il debito ma di renderlo più sopportabile. Sugli 1,1 miliardi di euro di debito, due terzi sono legati all'acquisto di aerei e, mette in evidenza Les Echos, potrebbero essere rinegoziati a condizioni più favorevoli nel quadro di un'integrazione in seno a Air France-Klm. Una tale revisione implicherà la revisione degli accordi conclusi nel 2008 con la società AP Fleet di Carlo Toto, con base in Irlanda, divenuta il maggiore fornitore di aerei Alitalia.
Sempre giovedì durante il cda di Alitalia che approverà la semestrale, verrà affrontato con decisione il nodo dell'aumento di capitale e della eventuale presenza in forze dei francesi. Se Air France dovesse rompere gli indugi accettando di "crescere" nei prossimi mesi dall'attuale 25% fino al 50,1%, Del Torchio potrebbe ottenere il sospirato via libera ad un prestito da almeno 250 milioni da parte delle banche italiane.
Gli altri 150 milioni necessari per sopravvivere e rilanciare le attività potrebbero giungere, invece, per mezzo di un nuovo aumento di capitale che Air France sottoscriverebbe a patto di una nuova governance del vettore romano.
Resta però irrisolto il problema del miliardo di perdite accumulate in 5 anni di attività della compagnia dei quali i francesi non vogliono farsi carico. Questa storia di amore industriale, mai esplosa per davvero, potrebbe dunque trasformarsi a breve in una acquisizione, con la bandiera tricolore francese piantata davanti all'ingresso del palazzo Alitalia di Fiumicino. Ieri sera il consiglio di amministrazione del vettore transalpino avrebbe affrontato anche i termini di una possibile salita di Air France nell'azionariato di Alitalia.
E aggiungo un Dagoreport sulla situazione generale
www.dagospia.com/rubrica-4/business/1-se-vero-che-la-svendita-di-queste-ore-su-telecom-alitalia-e-finmeccanica-6...
1. SE È VERO CHE LA SVENDITA DI QUESTE ORE SU TELECOM, ALITALIA E FINMECCANICA E' LA DIMOSTRAZIONE PLASTICA DI UNA CLASSE POLITICA IMPOTENTE E SENZA COMPETENZE, È ALTRETTANTO VERO CHE LA VULNERABILITÀ DEL SISTEMA ITALIA, CHE FINO A VENTI ANNI FA ERA AL QUINTO POSTO NELLA CLASSIFICA DELLE NAZIONI PIÙ INDUSTRIALIZZATE, HA UNA CAUSA IMPORTANTE NEL FLOP DI UNA CLASSE IMPRENDITORIALE CHE SICURAMENTE NON HA SOLDI, MA ALTRETTANTO SICURAMENTE È PRIVA DI IDEE
2. A QUESTO PUNTO LA DOMANDA È D’OBBLIGO: QUALE RICCHEZZA E QUALE VALORE HANNO SAPUTO CREARE FRANCHINO BERNABÈ (TELECOM), ROBERTO COLANINNO (ALITALIA) E IL RAGIONIERE ALESSANDRO PANSA (FINMECCANICA)? LA RISPOSTA È CATEGORICA: NESSUNO
3. SI SONO SOLO PRESTATI E CONTINUANO A PRESTARSI AL GIOCO E AI GIOCHETTI DEI POTERI FORTI, DEI SALOTTI COME MEDIOBANCA DOVE OGGI SI FREGANO LE MANI PER AVER CEDUTO ALLO SPAGNOLO ALIERTA LA QUOTA DI TELCO CON UN UTILE DI 60 MILIONI
Prima di salire sulla limousine che lo porterà oggi nel palazzo del "Council of Foreign Relations" dalle parti di Park Avenue, Enrichetto Letta avrà sicuramente letto la rassegna stampa della Presidenza del Consiglio dove campeggiano i titoli dedicati alla scalata degli spagnoli di Telefonica su Telecom.
Scopo della sua missione che è stata battezzata "Destinazione Italia" è richiamare l'attenzione degli investitori americani sulle opportunità offerte dal nostro Paese. È facile immaginare che il premier farà un discorso tranquillizzante sull'inerzia della burocrazia che frena gli investimenti e sulla corruzione che con la condanna del suo predecessore a Palazzo Chigi ha avuto un epilogo importante.
Nonostante questi handicap Enrichetto spalmerà nella sala fialette di fiducia sulle virtù del Belpaese e
per dare più forza alle sue tesi potrebbe snocciolare l'elenco di tutti i gioielli italiani che negli ultimi anni sono finiti in mani straniere.
Per fare qualche esempio, Letta potrebbe dire che aziende come
Parmalat, Bulgari, Valentino e Loro Piana sono già nelle mani dei francesi e dei fondi arabi, poi potrebbe ricordare che sul turismo e gli hotel di lusso si sono scatenati gli appetiti di russi, arabi e cinesi, mentre le motociclette Ducati sono finite nelle mani dei tedeschi e gli yacht del Gruppo Ferretti hanno preso la strada di Pechino.
L'arrivo dei
russi nella siderurgia di Lucchini e quel 70% straniero che ormai la fa da padrone dentro la chimica e la farmaceutica. Con un pizzico di ironia potrebbe avviare il suo speech verso la conclusione ricordando che
perfino i thailandesi hanno messo i piedi dentro la Rinascente e hanno scucito 300 milioni per salvare dai guai l'Inter del giocherellone Moratti.
Il discorso va in direzione di Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica, tre medaglie che fanno gola in questa stagione di saldi dove per una manciata di dollari e di euro si possono portare a Madrid, Parigi e in Corea quelle che un tempo erano considerate le roccaforti del nostro sistema industriale.
Questo scenario rende problematico l'appello di Letta agli uomini che dopo il crollo di Lehman Brothers non sanno più dove mettere i soldi.
Se è vero infatti che gli ultimi episodi di queste ore su Telecom, Alitalia e Finmeccanica sono la dimostrazione plastica di una classe politica impotente e senza competenze, è altrettanto vero che la vulnerabilità del sistema Italia ha una causa importante nel flop di una classe imprenditoriale che sicuramente non ha soldi, ma altrettanto sicuramente è priva di idee. E qui bisognerebbe mandare a quel paese quei bocconiani come Fabrizio Onida che di fronte allo shopping degli stranieri dicono con insipienza: "è la globalizzazione, bellezza! e stavolta davvero possiamo vantare una competitività italica".
Verrebbe da dire "grazie al cazzo, caro professore", perché
la competitività di imprenditori senza soldi e senza idee ha ormai distrutto quasi per intero la forza di un Paese che fino a venti anni fa era al quinto posto nella classifica delle nazioni più industrializzate. A questo esimio economista e a quei quattro straccioni dei suoi colleghi che impauriti dal voto tedesco pensano di uscire dall'euro, bisognerebbe ricordare che le operazioni in atto su Telecom, Alitalia e Finmeccanica somigliano maledettamente a quelle dei capitani di ventura del ‘500 che ingaggiavano truppe per servire i fabbisogni dei principi e dei potenti senza mai perdere di vista i loro interessi.
L'imprenditore diventa per definizione colui che detiene fattori produttivi e contribuisce a creare nuova ricchezza e nuovo valore sotto forma di beni e servizi utili alla collettività e alla società.
A questo punto la domanda è d'obbligo: quale ricchezza e quale valore hanno saputo creare Franchino Bernabè, Roberto Colaninno e il super-ragioniere Alessandro Pansa? La risposta è categorica: nessuno.
Su di loro pesano come macigni l'incapacità di costruire un futuro e di salvare la forza delle loro aziende. Si sono prestati e continuano a prestarsi al gioco e ai giochetti dei poteri forti, dei salotti come Mediobanca dove oggi si fregano le mani per aver ceduto allo spagnolo Alierta la quota di Telco con un utile di 60 milioni.
E ancora:
pagando parcelle mostruose a famelici consulenti hanno messo in piedi un carnevale dove i coriandoli sono caduti dentro piani industriali sbandierati per tenere a bada il parco buoi dei piccoli azionisti, dei dipendenti, e della stampa compiacente. Per nascondere la miscela di impotenza e incompetenza alcuni di loro continuano a sbandierare l'alibi della politica impotente e incompetente: un alibi che sicuramente ha pesato sulla volontà e sulle scelte, ma questo non basta a
chiedersi come abbiano potuto restare incollati col mastice per tanti anni alle loro ricche poltrone. Non c'e' bisogno dei Savonarola dell'economia per dire che in qualsiasi azienda del mondo sarebbero stati cacciati a furor di popolo.
Sulla base di questo ragionamento i discorsi che oggi Enrichetto Letta farà ai tycoon e ai gestori di New York per "destinare" i loro investimenti in Italia, assumono un tono problematico.
Per lui sarebbe molto più facile usare il linguaggio plebeo dei mercati ortofrutticoli dove si urla: "venghino, signori, venghino": il richiamo per un popolo che ha le pezze al culo e cerca di mettere insieme il pranzo con la cena.