Mission (Rai1): il reality tra i profughi

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AtomBomb
00lunedì 2 dicembre 2013 09:03
Vergognoso, finto, pornografia del dolore. «Mission» è il programma che vanta più recensioni arrivate prima di andare in onda. E poche sono simpatiche. Forse è inevitabile suscitare qualche sospetto se accosti due realtà così diverse: da una parte quella dei rifugiati e dall'altra quella di Al Bano e Paola Barale.

Quella dello spettacolo, insomma. Ma con «Mission» si è andati al di là di alcune polemiche preventive (di solito salutate con gioia, quando si parla di tv). Gli attacchi al programma - definito all'inizio «reality», categorizzazione respinta sia dalla Rai che dalle due realtà del mondo sociale (l'Agenzia per i rifugiati dell'Onu e Intersos) coinvolte, che preferiscono parlare di «social tv» - sono stati un crescendo iniziato mesi fa e che in questi giorni di vigilia sta sconfinando verso lo spionaggio. Il 4 dicembre, in prima serata, debutterà «Mission» su Rai1. Due serate (la seconda il 12 dicembre), condotte da Michele Cucuzza (che, con Barbara De Rossi, ha realizzato la puntata pilota, nel Sud Sudan) e Rula Jebreal.

Tra i personaggi noti che andranno in quattro missioni impegnate in diverse crisi umanitarie e che vivranno per dieci giorni in un campo rifugiati con gli operatori di Intersos, ci sono Francesco Pannofino e Candida Morvillo (in Mali), Lorena Bianchetti e Cesare Bocci (Ecuador), Al Bano e le figlie Cristel e Romina Jr (Giordania), Emanuele Filiberto e Paola Barale (Repubblica Democratica del Congo). Quest'ultima coppia è stata protagonista della più recente offensiva a «Mission»: in settimana è stato «trafugato» un estratto della loro puntata e pubblicato sul sito African Voices , accompagnato da ipotesi secondo cui le immagini non sarebbero state girate in campi profughi ma in set cinematografici.

Tesi avanzata anche da Vita , mensile sul mondo no profit, sul cui sito si è parlato di «reality condito da comparse africane». Accuse arrivate dopo raccolte firme, critiche da diverse ong e petizioni per bloccare il programma depositate anche in Vigilanza Rai (perfino Laura Boldrini, che come portavoce di Unhcr aveva seguito la nascita del progetto, ne ha poi preso le distanze). Nino Sergi, presidente di Intersos, non ci sta: «Ma pensano che siamo impazziti? Come potremmo, noi che lavoriamo sul campo da anni, spettacolarizzare la presenza dei rifugiati? Nel mondo del sociale comincia a esserci qualcosa di molto marcio».

D'accordo Laura Iucci, funzionario Unhcr: «Siamo sconcertati dalle assurdità su Mission . Le critiche sono ormai inaccettabili, diffamanti». Questo perché, per associazioni che operano nel sociale, «l'immagine conta. È vergognoso che si possa dire che abbiamo allestito dei set». Aver scelto dei personaggi poco noti per la loro conoscenza di temi così delicati non può aver attirato più critiche?

«Il casting l'ha fatto la Rai: l'idea era trovare persone che usassero un linguaggio adatto al pubblico di Rai1. Loro consentono di trasmettere dei documentari che altrimenti mai sarebbero andati in onda su Rai1, a quell'ora. Fanno puntare i riflettori su realtà dimenticate». Ma, in quanto famosi, hanno un cachet. Si parla di 700 euro al giorno. Soldi che farebbero comodo alle missioni, no? «Il personaggio famoso aiuta a diffondere un messaggio il cui ritorno è ben più ampio», assicura lei.

Della stessa opinione il direttore di Rai1 Giancarlo Leone: «Su questo programma abbiamo investito molto e vorrei avere ancora più budget per convincere in futuro altri a partire. Non mi vergogno a offrire soldi per questa causa. E posto che molti hanno poi devoluto i compensi in beneficienza, a me non interessa il mezzo ma il fine». E il fine è «far conoscere questi temi parlando un linguaggio televisivamente interessante così che non sia un programma per pochi».

Ma nemmeno per moltissimi: «L'obiettivo è tra il 10 e il 12% di share; tra i due e i tre milioni di spettatori: ben sotto la media di rete. Ma saremmo felici». E per allontanare l'idea che si possa speculare sul dolore, durante «Mission» non ci sarà pubblicità: «Mi sembrava improprio interrompere un programma del genere con degli spot».
KaiserSp
00lunedì 2 dicembre 2013 12:04
vorrei sapere i nomi di chi produce idee simili o di chi decide di metterli in onda impunemente
LIGHI
00lunedì 2 dicembre 2013 12:16
momento...questi hanno avuto la possibilita' di lasciare emanuele filberto in Congo e invece se lo son portati indietro?!
LightJotun91
00lunedì 2 dicembre 2013 12:35
Bisognerebbe aspettare di vedere un programma prima di criticarlo.
Detto questo, la cosa che i vip avevano un ingaggio mi è indigesta. Ma se la rappresentazione rispetta la realtà dei fatti e non si spettacolarizza il prodotto non vedo il problema.
KaiserSp
00lunedì 2 dicembre 2013 13:19
Re:
LightJotun91, 02/12/2013 12:35:

Bisognerebbe aspettare di vedere un programma prima di criticarlo.
Detto questo, la cosa che i vip avevano un ingaggio mi è indigesta. Ma se la rappresentazione rispetta la realtà dei fatti e non si spettacolarizza il prodotto non vedo il problema.



non si spettacolarizza? in tv? con quel genere di programma? avendo quel tipo di vip?

è la "realtà" che deve adattarsi al mezzo televisivo, non il contrario...
-Voices-
00lunedì 2 dicembre 2013 13:30
firmai su change.org una petizione qualche mese fa, ma non so se è poi mai servita a nulla [SM=x2584264]
FBI83
00lunedì 2 dicembre 2013 15:24
Dovevano trasformarlo in The Condamned [SM=x2585038]


L'ultimo che rimane vivo vince [SM=x2585038]
Ronald Jeremy Hyatt
00lunedì 2 dicembre 2013 15:26
me lo immagino un malgioglio che si incula qualche bimbo povero.
ah no quello lo fa a cuba [SM=x2584263]
LightJotun91
00lunedì 2 dicembre 2013 18:31
Re: Re:
KaiserSp, 02/12/2013 13:19:



non si spettacolarizza? in tv? con quel genere di programma? avendo quel tipo di vip?

è la "realtà" che deve adattarsi al mezzo televisivo, non il contrario...




C'è modo e modo di rappresentare in situazioni di povertà o disagio, e ci sono modi per farlo senza dover sfruttare il dolore in maniera pornografica in televisione. Finchè non lo vediamo non possiamo sapere come è stato realizzato.
In tv? sì eccome, Pechino Express ha saputo raccontare all'interno di un game show una situazione lontana per ricchezza, costumi e cultura senza sembrare minimamente fuori contesto.
Quel genere di programma non sappiamo ancora che genere è, dato che non è ancora il 4 Dicembre. A meno che tu abbia già visto il programma...
Quel tipo di vip? Sono vip perfetti per il pubblico di Rai1. E' già una fortuna non aver visto la Canalis, come si leggeva qualche mese fa... Al Bano è con le figlie, non con la Lecciso.

Ripeto, fino a quando il prodotto non è visibile non possiamo commentarlo o facciamo la figura da idioti (o da Fico del M5S). Se poi esce una cagata che banalizza il mondo del volontariato o ci ricama su sarò tra i primi a criticarlo. E non dico che l'idea mi piace, sono dubbioso pure io sull'operazione.
DX-Napoli
00lunedì 2 dicembre 2013 18:37



far vedere determinate realtà senza piazzarci sta gente che mani nella merda non le ha mai messe sembrava brutto?

è questo che ti fa capire che il fine non è sociale bensì economico e teso a sfruttare le realtà alla ricerca di una nuova location per un reality.

The REAL Capt.Spaulding
00martedì 3 dicembre 2013 13:58
porcoddio che merda
vale101
00giovedì 5 dicembre 2013 12:04
Le polemiche che hanno accompagnato la programmazione di Mission, il docu-reality di Rai uno sui campi profughi (è già questa definizione dice molto sull'inopportunità dell'esperimento), producono i loro effetti in studio sin dal primo minuto: conduttori e ospiti ostentano la maschera d'ordinanza per le occasioni luttuose, quindi facce contrite e occhi lucidi, le parole "dramma" e "tragedia" si sprecano ogni due secondi, e insomma ci si tiene subito a far passare il messaggio che, nonostante la presenza di Al Bano con figlie al seguito, non è una puntata de L'Isola dei famosi.

Più difficile intendersi su cosa sia, in positivo, questo strano prodotto televisivo. Perché, diciamocelo, anche al telespettatore più sprovveduto viene in mente la stessa domanda: ma questi reportage dai campi profughi non li potevano girare dei veri giornalisti, con una collaudata capacità di racconto e analisi, con una conoscenza dei luoghi, della macchina degli aiuti internazionali, della situazione geopolitica?
Certo, i concorrenti, pardon i testimonial (oltre al cantante pugliese con prole nella prima puntata ci sono anche Francesco Pannofino e Candida Morvillo), sono chiaramente sorretti dalla scrittura degli autori, ma ciò non evita di doversi sorbire un inutile chiacchiericcio in studio a base di buoni sentimenti un tanto al chilo, o di ascoltare le perle di saggezza di Al Bano, che nel chiudere la prima parte del suo pseudo-reportage così chiosa: "Esiste il ministero della Difesa, della Cultura, ma non quello della Pace. Cosa aspettiamo a fare il ministero della Pace?". Già, pensa che fessi a non averci pensato prima!

Ma soprattutto, Mission con tutto il suo girato non è in grado di spiegare nulla, e neanche ci prova: si assiste a una sfilza di immagini che illustrano confusamente le tragedie dei profughi, senza raccontare un minimo di storia e di attualità: perché i siriani sono scappati dalla loro terra? Quale guerra si sta combattendo in Siria? Chi capeggia le opposte fazioni e che cosa vogliono? Questi temi, essenziali se si vuole fare un reportage degno di questo nome (ma, appunto, non lo puoi fare con Al Bano e Pannofino), non vengono neppure sfiorati.

In conclusione, se l'intento era quello - lodevolissimo - di raccogliere soldi per l'Unhcr, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, non si potevano semplicemente preparare degli spot? Sarebbero costati molto meno e sarebbero stati molto più efficaci (gli ascolti, con appena 2 milioni di audience, sono stati un vero disastro), rispetto a uno spottone del dolore lungo due ore, camuffato in modo tragicomico da giornalismo e chiamato, con ammirevole sprezzo del ridicolo, Mission. Ma mission de che?
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