Raccolta complottari Ustica-Ramstein Inside

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Mein Teil
00venerdì 14 marzo 2014 21:33
Appena viste le immagini di Ramstein, tra noi dell’Arma, ci siamo guardati in faccia dicendo la stessa cosa: non è stato un incidente. Non è possibile, che un pilota di quel livello tecnico e preparazione fisica commetta certi errori». Ventisette anni nell’Aeronautica militare, una vita a prendersi cura di aerei come quelli con cui il 28 agosto 1988, proprio oggi un quarto di secolo fa, con un programma di celebrazioni dell’evento a cui partecipa anche l’Ami, tre velivoli delle Frecce Tricolori si scontrarono pochi minuti dopo il decollo, con decine di morti e centinaia di feriti.
Il maresciallo Paolo Moro per una vita è stato un elettromeccanico di bordo, uno che con un cacciavite poteva smontare e rimontare l’Aermacchi Mb 339 con cui per un tragico errore il tenente colonnello Ivo Nutarelli, secondo il rapporto dell’Aeronautica, ha provocato la più grave strage della storia delle esibizioni aeree, trascinando nella tragedia anche i colleghi Mario Naldini e Giorgio Alessio, oltre a ignari spettatori arsi vivi o sopravvissuti con tragiche conseguenze, per non parlare di malattie letali che continuano a mietere vittime.

Per la prima volta in 25 anni, al di fuori delle dichiarazioni ufficiali, un ex appartenente all’Ami parla del disastro che, per le indagini difensive condotte dall’avvocato Daniele Osnato nell’ambito dei procedimenti civili di risarcimento danni per la strage di Ustica, evidenzierebbe un nesso di causalità tra il rogo sul cielo della base americana nel sud ovest della Germania e l’ultimo volo dell’I-Tigi, 8 anni prima: il nesso, naturalmente, sarebbero i top-gun Ivo Nutarelli e Mario Naldini, testimoni oculari di quello che è successo al Dc9 prima di perdere la vita durante l’esecuzione del «cardioide», all’inizio dell’esibizione della Pattuglia acrobatica nazionale.
Il maresciallo Moro è un garbato uomo del Sud che parla ancora di piloti e aerei con l’affetto di chi li ha accuditi per tutta la vita. «Cosa non andava sull’aereo di Nutarelli? La prima cosa a cui abbiamo pensato è l’altimetro». Moro si riferisce al barometro che sul Mb 339, come su altri velivoli, funziona tramite una banale membrana, detta aneroide, che si contrae via via che si sale, quindi al diminuire della pressione, permettendo di misurare la quota dell’aereo: uno strumento ad elevata sensibilità, così come sono infinitesimali i margini di errore per quei bolidi del cielo che sfrecciano a 600 all’ora con sincronismi di attimi. Negli incroci si vola anche a vista, l’occhio e i riferimenti a terra aiutano il pilota, ma di sicuro non si fanno certe piroette senza poter contare sugli strumenti.
«Basterebbe sprimacciare, stropicciare o comunque manomettere quella membrana e lo strumento inevitabilmente darebbe parametri del tutto erronei, ingannando il pilota. Complicato? Bastano cinque minuti, per uno che se ne intende, sono due viti in tutto. Ma soprattutto, anche se l’avessero recuperato, sarebbe impossibile dimostrare che è stato sabotato, visto cos’è e come funziona l’aneroide». Poi c’è un altro problema, legato all’ipotesi di manomissione dell’altimetro: «Se l’aneroide è manomesso, viene completamente sballata la taratura che compie il pilota poco prima del decollo, quando riceve i parametri di altitudine dalla torre di controllo e li inserisce per i calcoli di volo».

Si tratta di una delle regolazioni altimetriche conosciuta come «QNH», serve per calibrare quota e pressione di volo e questo spiegherebbe il mistero più grande, cioè perché Nutarelli non abbia corretto – o non sia riuscito a correggere – nessuno dei tanti errori commessi prima di schiantarsi. L’altimetro e la sua taratura, come spiega Moro, riguarda il primo clamoroso sbaglio di Nutarelli ed è forse la matrice di tutti gli altri: impensabile per uno dei nostri migliori piloti, che nelle istantanee di quella maledetta domenica mostra il suo bel sorriso fino a pochi minuti prima di decollare. Il suo sforare di quasi 200 metri il «loop» che avvia l’esercizio chiamato «cardioide» è palesemente figlio di una quota totalmente sbagliata.
Il «Pony 10» di Nutarelli, come gli aerei di Naldini e Alessio, è però finito al macero dopo anni di ruggine nel piazzale di qualche rottamatore. Nel rapporto sulla strage compilato dall’Ami e reso pubblico solo la scorsa primavera, 24 anni dopo gli impegni presi con Germania e Usa, tra le minuziose descrizioni tecniche e di manutenzione degli aerei, non c’è traccia della strumentazione di bordo: distrutta nell’impatto? Un altro punto oscuro riguarda proprio l’apparente solitudine di Ivo Nutarelli quella domenica. A tutt’oggi non risulta che per l’ultima esibizione della sua carriera, era atteso da una carriera da ufficiale in ambito europeo, il solista delle Frecce avesse con sè il proprio «crew-chief», ossia il meccanico di fiducia senza il quale, secondo Moro, «di norma un pilota non vuole nemmeno decollare».

La regola era ed è molto semplice: un crew-chief, un pilota e un aereo. Come mai Nutarelli risulta fosse solo a Ramstein? E se non è così, chi ha fatto da crew-chief per lui quel giorno? «Mi pare molto improbabile e molto strano – riflette il maresciallo Moro – perché per effettuare i necessari controlli prevolo il pilota non può fare da solo. Bisogna verificare una serie di cose come gli strumenti di bordo, il giroscopio, il girobussola, le spie e le spine di sicurezza, i serbatoi alari, il carrello e tutte le altre cose previste dalla check-list. O come aerofreno e piani di coda, che il pilota aziona a bordo e il collega controlla da terra. Poi firma il libretto su cui si annota tutto, compresi i piani di volo e la durata». Quindi il punto è: a Ramstein, chi ha controllato l’efficienza di «Pony 10» e chi ha firmato il libretto? «Sul foglio di viaggio di quella giornata dovrebbe risultare, come per ogni uscita della Pan lì vengono annotati minuziosamente gli equipaggi, i tecnici e il personale al seguito» spiega Moro.
Che fine ha fatto il foglio di viaggio della Pan di domenica 28 agosto 1988? È tra i documenti esaminati dal giudice Rosario Priore nell’appendice all’inchiesta su Ustica e dedicata ai fatti «collaterali»? Ma non è tutto, perché i dubbi del maresciallo Moro sulla strumentazione di «Pony 10» potrebbero essere ampliati da una indiscrezione trapelata da addetti ai lavori. Riguarda il «flight data recorder», le scatole nere dei Mb 339 a Ramstein sui quali, per qualcuno, erano montate addirittura microtelecamere.

Pare che l’Aermacchi, subito dopo la tragedia, le abbia richiamate nello stabilimento varesino di Venegono per controlli del produttore sui propri velivoli, ma come gli aerei, anche questi strumenti erano di proprietà dell’Ami: se davvero c’erano, che fine hanno fatto? Chi le ha viste, tra l’altro, sostiene che ce ne fossero 9 su 10, mancava una di uno degli aerei caduti: per caso quella del «Pony 10» di Nutarelli? Nel rapporto ufficiale non ce n’è traccia, e a quanto pare nemmeno nell’inchiesta condotta a Udine dal giudice istruttore Roberto Paviotti e da lui archiviata poiché «l’evento di Ramstein non è ascrivibile a responsabilità penale di alcuno».


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COmplotto? Realtà? [SM=x2584916]
Kane1986
00venerdì 14 marzo 2014 23:15
se un succedeva quel macello non nasceva i' mi gruppo preferito.."ein mensch brennt"
TSEEMOD
00sabato 15 marzo 2014 12:57
Su Ustica più che di complotti parlerei apertamente di depistaggi
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