Sempre sui costi della politica

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00lunedì 22 agosto 2011 13:05
e le idee anti crisi
Le spese della Camera nel 2011

Tipologia Spese
Corsi di lingua per i deputati 400.000
Rimborsi viaggio ex deputati 800.000
Servizio ristorante 5.500.000
Manutenzione Ascensori 930.000
Manutenzione Arredi 990.000
Prodotti farmaceutici 80.000
Servizi di pulizia 7.050.000
Smaltimento rifiuti 600.000
Lavanderia 70.000
Cancelleria 1.025.000
Vestiario 490.000
Guardaroba 100.000
Stampa atti parlamentari 7.150.000
Studi sulla politica internazionale 579.000
Ufficio stampa 4.300.000
Sito internet 2.200.000
Attività "interparlamentari" 2.100.000
Cooperazione interparlamentare 1.900.000
Cerimoniale 700.000

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Onorevole, che belle penne
di Emiliano Fittipaldi

Solo per la 'cancelleria' la Camera spende un milione di euro l'anno: come faccia, è un mistero. Uno dei tanti di Montecitorio: una cittadina di tremila persone, fra deputati, questori, portaborse etc. che a Roma occupano 22 palazzi storici. Con un budget di oltre un miliardo per arredi, bollette, tendaggi, divise, saponi e pulsantiere
(22 agosto 2011)

L'accorpamento dei Comuni più piccoli e la cancellazione di 29 provincie previste dal decreto anticrisi sono un passo avanti per la riduzione dei costi della politica. Peccato che a Roma i tagli restino ancora un tabù. Diminuire il numero di parlamentari (e dei rappresentanti di altre assemblee tipo consigli regionali, provinciali e comunali) resta una chimera, mentre è un fatto che i costi complessivi per il funzionamento della Camera, nonostante le promesse seguite al boom del libro "La Casta" di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, dal 2007 al 2011 siano aumentati di ben 60 milioni di euro: a dicembre sfioreranno la stratosferica cifra di un miliardo e 71 milioni. Denaro speso per far funzionare 22 (!) palazzi e una popolazione di nemmeno tremila persone, tra deputati, portaborse, questori e personale vario. Eppure, sono tante le voci che potrebbero essere ridotte.

Scorrendo la nota al bilancio pluriennale si scopre che gli assegni vitalizi diretti, per esempio, sono stati limati di un ridicolo uno per mille (95mila euro su un totale di 96,7 milioni), e che - ecco la beffa - nel 2013 l'intero capitolo di spesa (comprese le pensioni di reversibilità) riprenderà a crescere. Anche il fondo per i viaggi degli ex deputati aumenterà, passando da 800 a 900mila euro l'anno: nessuno ha avuto il coraggio di cancellarli con un tratto di penna. Altro costo difficile da abbassare è quello che riguarda gli stipendi (altissimi) del personale: aumentato di 12 milioni dal 2007, a fine 2011 toccherà i 235 milioni di euro nel 2011, per schizzare a 246 milioni nel 2013. Anche la voce "pensioni" di ex commessi e funzionari è data in crescita di 12 milioni. Alla faccia dei risparmi promessi.

Andiamo con ordine, e passiamo alle spese di manutenzione: 14 palazzi sono tanti, troppi, così per aggiustare gli onorevoli ascensori i contribuenti italiani pagheranno nel 2011 circa 930mila euro di bulloni e pulsantiere, mentre 990 mila euro serviranno a riparare i vecchi arredi (ma sono previsti nuovi mobili per oltre un milione di euro) e ben 7,7 milioni serviranno per la pulizia e l'igiene. Dal primo gennaio 2012 i costi per aspirapolveri, scope e detergenti sarebbero dovuti aumentare di altri 120 mila euro l'anno, invece i deputati hanno deciso che gli ottoni di Montecitorio sono già abbastanza splendenti e hanno, bontà loro, congelato l'aumento previsto. I nostri onorevoli non sono riusciti nemmeno a tagliare la voce vestiario: si tratta di 490mila euro l'anno destinati alle divise di autisti e commessi (chissà qual è il sarto che s'è accaparrato l'appalto). Soldi a cui bisogna aggiungere i 70 mila euro annui per la lavanderia e 100 mila per i guardarobieri che custodiscono cappotti e pellicce delle signore del Parlamento.

Se il decoro dell'istituzione è sacro, anche il benefit del cellulare resta intoccabile: il fondo da 2,3 milioni del 2011 è stato confermato anche per il 2012 e il 2013. Carta, matite, gomme e penne ci costano invece un milione l'anno, assai meno della stampa di tutti gli atti parlamentari: 7,1 milioni di euro previsti a fine 2011. A questo fiume di denaro ("Abbiamo già tagliato le pubblicazioni, se tutti i parlamentari ci chiedessero gli atti di giornata non avremmo copie sufficienti", dice un dipendente) vanno sommati i 2,2 milioni spesi quest'anno per l'accesso gratuito al sito Internet, più altri denari per la realizzazione del "portale storico" della Camera, in occasione del 150 anniversario dell'Unità d'Italia. Nel bilancio è annunciato anche il fondamentale "sviluppo del palinsesto del canale satellitare", in modo da assicurare ai telespettatori che finissero per sbaglio sulla tv della Camera in prima serata o nei week-end "la continuità" delle trasmissioni. I deputati hanno però annunciato che tenteranno di risparmiare su biglietti aerei, pedaggi autostradali e treni: un milione in meno (sui 13 previsti) a partire dal 2012. Un taglio inferiore al 10 per cento, che riporta la voce di spesa ai livelli - già altissimi - di quattro anni fa.

"Scorrendo il documento appena modificato, lei vedrà spese che sarebbero giustificate se il denaro fosse usato bene. In realtà sono soldi sprecati, dal momento che la classe dirigente non è all'altezza dell'istituzione per la quale lavora", chiosa ancora l'alto funzionario che chiede l'anonimato. Mentre la politica dell'Italia è commissariata da Ue e Bce, a Montecitoro s'è deciso di potenziare "le attività di analisi e documentazione in materia di politica internazionale" di 125 mila euro, a cui bisogna aggiungere 454 mila euro da investire in non meglio specificate "strutture di supporto del Parlamento". Altra spesa esorbitante è quella destinata alla comunicazione: dal 2007 ad oggi la crescita della voce è stata costante, e l'ufficio stampa costerà a fine 2011 4,3 milioni di euro. Un esborso che - questa la promessa - a partire dall'anno prossimo verrà ridotta di 550 mila euro.

Anche la maxivoce "beni e servizi e spese diverse" (che valeva 56 milioni nella scorsa legislatura, oggi toccherà quota 59,5) verrà limata del 10 per cento. Scorrendo la lista della spesa del 2011, però, si notano uscite che forse potrebbero essere ridimensionate di più: banche dati e agenzie di informazione del Palazzo costano 3,5 milioni di euro l'anno, mentre - nonostante il numero altissimo di avvocati che siedono tra gli scranni o dietro gli uffici - altri 160mila euro verranno usati per assistenze legali esterne. Il controllo dei rendiconti dei partiti politici costa 300 mila euro l'anno, mentre la gestione dei Centri informatici ben 5,3 milioni di euro, a cui s'aggiunge ulteriore assistenza di esperti per 2,8 milioni (capitolo di spesa che, rispetto al 2007, è cresciuto di quasi il 20 per cento). Già: alla Camera sono tante le voci che, invece di diminuire, in questi ultimi quattro anni sono cresciute: dalle pensioni del personale (più 42 milioni), alle bollette di luce, acqua e gas (più 135 mila euro), dal facchinaggio (che costa ormai 1,6 milioni l'anno) al presidio medico fisso (stessa, folle cifra).

I partiti politici, dal Pdl al Pd, passando per Lega Nord e Udc, non hanno messo un freno nemmeno ai "contributi" per il funzionamento dei vari gruppi parlamentari: se nel 2007 le segretarie costavano 9 milioni, quest'anno ne costeranno 11. Pure il totale degli stipendi dei dipendenti assunti dai partiti è cresciuto da 12,4 a 13,4 milioni. Commissioni, giunte e comitati hanno un fondo, per missioni di vario tipo e "spese di rappresentanza" e conferenze, di 690 mila euro mentre il capitolo sulle attività interparlamentari ed internazionali tocca i 2,1 milioni. Anche il restauro delle opere d'arte ha un costo, 150mila euro quest'anno. Niente di strano, bisogna salvaguardare i capolavori. Confrontando gli inventari 2007 con quelli di dicembre 2010, però, il mistero è un altro: mancano all'appello (tra i beni di proprietà della Camera) sette dipinti, due sculture e 22 tra stampe e incisioni. Che fine avranno fatto?

Un capitolo a parte merita, infine, la biblioteca di palazzo San Macuto: complessivamente le spese per tenere in piedi la struttura sommano tre milioni e 50 mila euro tondi tondi. Solo per la gestione dell'inestimabile patrimonio librario (1.385.000 volumi) si spendono quasi 1,3 milioni di euro l'anno (210 mila euro in più rispetto al dato 2007), e quest'anno altri 900 mila euro serviranno ad acquistare libri nuovi, mentre 100 mila verranno destinati alle rilegature. Anche mantenere l'archivio ha suoi prezzi: 270 mila euro da spendere per il 2011. Bisogna ordinare e fare l'inventario di migliaia di documenti: quest'anno gli esperti si concentreranno soprattutto sull'informatizzazione dei "Disegni e proposte di legge e incarti delle Commissioni del Regno d'Italia". Se gli storici e i ricercatori saranno felici, chissà quanti dei nostri deputati andranno a leggere i lavori dei loro antenati. "Pochini" ammette il funzionario: "Gli onorevoli che vanno a studiare in biblioteca sono rari come un'edizione di pregio. Preferiscono chiacchierare al bar della buvette".

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Si mangiano 5,5 milioni di euro
di Emiliano Fittipaldi

Dopo la pubblicazione sul nostro sito dei menù di Camera e Senato, gli onorevoli si sono difesi sostenendo che i loro ristoranti non pesano sui contribuenti. Balle: ecco quanto ci costano, ogni anno, le lombatine e i branzini serviti in livrea ai nostri parlamentari

"The pen is on the table". Sono molti i deputati che hanno fatto una figura barbina davanti alla docente d'inglese venuta a fargli lezione privata nei loro uffici. D'altronde, è noto che il livello di conoscenza delle lingue straniere dei nostri politici è da sempre piuttosto bassino: nel 2006 Berlusconi fu preso in giro in mondovisione dall'ex presidente Bush per il suo inglese maccheronico.

"Proprio per questo", spiega un funzionario della Camera, "esiste un fondo di 400 mila euro l'anno per i corsi di formazione dei parlamentari. Pensi che figuracce se non riuscissero a spiccicare mezza parola d'inglese durante gli incontri internazionali". Così, nonostante molti onorevoli abbiano seri problemi in primis con la loro lingua madre, la casta di Montecitorio non bada a spese per l'aggiornamento culturale dei suoi fortunati membri: nel 2011 tra consulenze, formazione del personale e corsi di lingue e computer si spenderanno 1,3 milioni di euro. Serviranno a qualcosa? Difficile dirlo: di sicuro quest'anno verranno spesi 415mila euro per chiamare interpreti e traduttori capaci di destreggiarsi tra le insidie del tedesco o del francese.

Il fondo per le lezioni private è solo una delle centinaia voci di spesa che saltano agli occhi spulciando il bilancio pluriennale 2011-2013 della Camera. Il 21 luglio scorso Fini e colleghi hanno annunciato in pompa magna un ridimensionamento degli sprechi, e hanno varato una serie di tagli per ammansire l'opinione pubblica nauseata da vitalizi record e privilegi inattaccabili. Spulciando il dossier sulle spese correnti, però, ci si chiede se non potessero fare qualche sforzo in più. La grande maggioranza dei risparmi previsti (150 milioni in tre anni) arriveranno infatti non da tagli di spesa, ma attraverso il blocco degli aumenti già previsti per gli anni 2012 e 2013. Altro denaro sarà accantonato grazie all'abbandono anticipato dei costosissimi uffici di Palazzo Marini (che consentiranno un risparmio di 29 milioni di euro nel biennio), dalla chiusura di un self service e dalla forbice sugli abbonamenti di quotidiani e riviste. I deputati hanno promesso anche una "riduzione di offerte del menu" dei ristoranti interni, quelli con camerieri in livrea che servono spaghettini con alici a 1,60 euro. Qualche settimana fa, dopo un'inchiesta de "l'Espresso", qualche onorevole s'è difeso spiegando che i contribuenti non ci rimettono un euro, visto che i locali sono gestiti da privati. In realtà leggendo i documenti ufficiali si scopre che la differenza tra il costo effettivo dei piatti (almeno una cinquantina di euro) e quello che pagano i deputati (pochi spiccioli) ce la mettono proprio gli italiani: nella previsione al bilancio 2011 la voce "servizi di ristorazione gestiti da terzi" vale ben 5,5 milioni di euro. Una cifra enorme. Nel 2007 senatori e deputati mangiavano meno: la spesa superava di poco i 4 milioni.

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'Noi, onorevoli e nullafacenti'
di Emiliano Fittipaldi

Un parlamentare accompagna L'Espresso nei privilegi di Montecitorio. Ecco la prima puntata del suo racconto: dove ci spiega che si lavora pochissimo, si comprano auto scontate e per viaggiare si sceglie sempre Alitalia, che è la più cara, tanto paga lo Stato e così si accumulano punti per portare la famiglia in vacanza

Carlo Monai è l'unico, dopo sette tentativi andati a vuoto, che ha accettato di raccontare a "l'Espresso" com'è cambiata la sua vita da quando è entrato nella casta. E' un avvocato di Cividale del Friuli, ex consigliere regionale e oggi deputato dell'Idv al primo mandato parlamentare. Uno dei peones, a tutti gli effetti.

Uno coraggioso, direbbe qualcuno, visto che ha deciso di metterci la faccia e guidarci come novello Virgilio nella bolgia di indennità, vitalizi, doppi incarichi, regali, sconti e privilegi in cui sguazzano politici di ogni risma. Un paradiso per pochi, un inferno per le tasche dei contribuenti italiani, stressati da quattro anni di crisi economica e da una Finanziaria lacrime e sangue che chiederà ulteriori sacrifici. «Per tutti, ma non per noi», chiarisce Monai. «I costi della politica sono stati ridotti di pochissimo, e alcuni sprechi sono immorali. Non possiamo chiedere rinunce agli elettori se per primi non tagliamo franchigie e sperperi».

L'incontro è al bar La Caffettiera, martedì mattina, davanti a Montecitorio. Difficile ottenere un appuntamento di lunedì. «Noi siamo a Roma da martedì al giovedì sera», spiega. «Ma in questa legislatura pare che stiamo facendo peggio che mai: spesso lavoriamo due giorni a settimana, e il mercoledì già torniamo a casa. Nel 2010 e nel 2011 l'aula non è mai stata convocata di venerdì. Le sembra possibile?».

Anche in commissione l'assenteismo è da record. «Su una quarantina di membri, se ce ne sono una decina presenti è grasso che cola. Io credo che lo stipendio che prendiamo sia giusto, ma a condizione che l'impegno sia reale. Se il mio studio fosse aperto quanto la Camera, avrei davvero pochi clienti».

La busta paga di Monai è identica a quella dei suoi colleghi: l'indennità netta è di 5.486,58 euro, a cui bisogna aggiungere una diaria di 3.503,11 euro. Per ogni giorno di assenza la voce viene decurtata di 206 euro, ma solo per le sedute in cui si svolgono le votazioni. E se quel giorno hai proprio altro da fare, poco male: basta essere presenti anche a una votazione su tre, e il gettone di presenza è assicurato ugualmente. Lo stipendio è arricchito con il rimborso spese forfettario per garantire il rapporto tra l'eletto e il suo collegio (3.690 euro al mese), e gli emolumenti che coprono le uscite per trasporti, spese di viaggio e telefoni (altri 1.500 all'incirca). In tutto, oltre 14 mila euro al mese netti. Ai quali molti suoi colleghi con galloni possono aggiungere altre indennità di carica.

Monai inizia il suo viaggio. «Non bisogna essere demagogici. Parliamo solo di fatti. Partiamo dagli assistenti parlamentari: molti non li hanno. Visto che le spese non vanno documentate, preferiscono intascarsi altri 3.690 euro destinati ai portaborse e fare tutto da soli. Altri colleghi per risparmiare si mettono insieme e ne pagano uno che fa il triplo lavoro».

Ecco così svelata la sproporzione tra il numero dei deputati (630) e i contratti in corso per i segretari (230). «Non c'è più tanto nero come qualche anno fa. Anche un altro mito va sfatato: la Camera non ci regala cellulari, come molti credono, ma ogni deputato può avere altri 3.098 euro l'anno per pagare le telefonate. La Telecom ci offre poi dei contratti, chiamati "Tim Top Business Class", destinati a deputati e senatori. Per i computer? Abbiamo un plafond di altri 1.500 euro». Anche quand'era in consiglio regionale del Friuli le telefonate non erano un problema: «La Regione copriva tutto. Se non ti fai scrupoli puoi spendere quanto vuoi. Lo sa che lì c'è pure un indennizzo forfettario per l'utilizzo della propria macchina? Per chi vive fuori Trieste, 1.800 euro in più al mese. Tutti prendevano il treno regionale, e si intascavano la differenza». Portandosi a casa solo grazie a questa voce lo stipendio di un operaio specializzato.

Già. I trasporti gratis sono un must dei politici. Monai elenca i vantaggi di cui può usufruire. «Il precario che su Internet ha svelato gli sconti che ci fa la Peugeot s'è dimenticato che anche altre case offrono benefit simili: ho ricevuto offerte dalla Fiat, dalla Mercedes, dalla Renault. Dal 10 al 25 per cento in meno. Credo che lo facciano per una questione di marketing».

Ogni parlamentare ha una tessera che gli consente di non pagare l'autostrada, i treni e gli aerei (sempre prima classe) e le navi, in modo da potersi spostare liberamente sul territorio nazionale. «Tutto gratis, anche se devo andare al compleanno della nonna», chiosa l'onorevole. «Dovrebbero essere pagati solo i viaggi legati al nostro incarico pubblico».

Oltre a questi soldi è previsto un ulteriore rimborso mensile per taxi e varie che va, a secondo della distanza tra l'abitazione e l'aeroporto, da 1.007 a 1.331 euro al mese. Questa è una cosa nota. Pochi sanno però che quasi tutti i deputati, per comprare i biglietti aerei, fanno riferimento esclusivamente all'agenzia americana (con sede in Minnesota) Carlson Wagonlit. «A loro noi chiediamo sempre di volare con Alitalia, che è la più cara di tutte. Nessuno ci vieterebbe, però, di scegliere compagnie low cost».

I politici se ne guardano bene: da un lato il prezzo di un biglietto low cost lo devi anticipare tu (mentre con Alitalia anticipa il Parlamento), dall'altro perderesti i punti per la carta fedeltà "Millemiglia". «I punti li giriamo a mogli e figli, ma in genere i deputati li usano per andare gratis all'estero: perché tranne qualche missione coordinata con il presidente della commissione», ragiona Monai, «i viaggi all'estero dobbiamo pagarceli di tasca nostra».

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Pensioni d'oro, tutti i nomi

Ecco i 1464 ex deputati egli 843 ex senatori che intascano il vitalizio. Il database completo con tutti i parlamentari pensionati, gli importi netti mensili e gli anni di contributi
(04 agosto 2011)
Giovanotti con un grande avvenire dietro le spalle che si godono la vita dopo gli anni di militanza parlamentare. Come Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi ed ex ministro dell'Agricoltura e dell'Ambiente. Presente alla Camera dal 1992, nel 2008 non è riuscito a farsi rieleggere e con cinque legislature nel carniere è stato costretto alla pensione anticipata. Ma nessun rimpianto. Da allora, cioè da quando aveva appena 49 anni, Pecoraro Scanio riscuote il vitalizio assicuratogli dalla Camera: ben 5.802 euro netti al mese che gli consentono di girare il mondo in attesa dell'occasione giusta per tornare a fare politica. Oliviero Diliberto è un altro grande ex uscito di scena nel 2008 causa tonfo elettorale della sinistra. Segretario dei Comunisti italiani ed ex ministro della Giustizia, con quattro legislature alle spalle e ad appena 55 anni, anche lui si consola riscuotendo una ricca pensione di 5.305 euro netti. Euro in più, euro in meno, la stessa cifra che spetta a un altro pensionato-baby della sinistra, addirittura più giovane di Diliberto: Pietro Folena...

espresso.repubblica.it/dettaglio/pensioni-doro-tutti-i-nomi...

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Un privilegio da 200 milioni
di Primo Di Nicola

La Casta taglia le pensioni degli italiani, ma non tocca le proprie. Per i parlamentari il diritto al vitalizio scatta dopo soli cinque anni di mandato. Con contributi molto bassi. E con compensi incassati anche prima dei 50 anni. Così 2.307 tra ex deputati ed ex senatori si mettono in tasca ogni mese fino a settemila euro netti

Giovanotti con un grande avvenire dietro le spalle che si godono la vita dopo gli anni di militanza parlamentare. Come Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi ed ex ministro dell'Agricoltura e dell'Ambiente. Presente alla Camera dal 1992, nel 2008 non è riuscito a farsi rieleggere e con cinque legislature nel carniere è stato costretto alla pensione anticipata. Ma nessun rimpianto. Da allora, cioè da quando aveva appena 49 anni, Pecoraro Scanio riscuote il vitalizio assicuratogli dalla Camera: ben 5.802 euro netti al mese che gli consentono di girare il mondo in attesa dell'occasione giusta per tornare a fare politica.

Oliviero Diliberto è un altro grande ex uscito di scena nel 2008 causa tonfo elettorale della sinistra. Segretario dei Comunisti italiani ed ex ministro della Giustizia, con quattro legislature alle spalle e ad appena 55 anni, anche lui si consola riscuotendo una ricca pensione di 5.305 euro netti. Euro in più, euro in meno, la stessa cifra che spetta a un altro pensionato-baby della sinistra, addirittura più giovane di Diliberto: Pietro Folena, ex enfant prodige del Pci-Pds, passato a Rifondazione e trombato nel 2008 quando, con le cinque legislature collezionate, a soli 51 anni ha cominciato a riscuotere 5.527 euro netti al mese.

Davvero niente male, considerando le norme restrittive che le varie riforme pensionistiche dal 1992 hanno cominciato ad introdurre per i comuni cittadini. Norme ferree per tutti, naturalmente, ma non per deputati e senatori che, quando si è trattato di ridimensionare le proprie pensioni, si sono ben guardati dal farlo. Certo, hanno accettato di decurtarsi il vitalizio con il contributo di solidarietà voluto da Tremonti per le "pensioni d'oro" e pari al 5 per cento per i trattamenti compresi fra i 90 e i 150 mila euro (una penalizzazione che tocca solo i parlamentari con oltre i 15 anni di mandato), ma per il resto hanno evitato i sacrifici imposti agli altri italiani. Tutto rinviato alla prossima legislatura quando, almeno stando all'annuncio del questore della Camera Francesco Colucci, e a una proposta del Pd, potrebbe entrare in vigore un nuovo modello pensionistico contributivo. A Montecitorio, però, il clima è rovente. Pochi giorni fa il presidente Gianfranco Fini non ha ammesso un ordine del giorno dell'Idv, che chiedeva l'abolizione dei vitalizi ("Un furto della casta", secondo il dipietrista Massimo Donadi). Secondo Fini, i diritti acquisiti non si toccano, al massimo si potrà discutere della riforma.

IL CLUB DEI CINQUE
Nel frattempo, l'andazzo continua, con l'esercito dei parlamentari pensionati che si ingrossa sempre più, fino a toccare il record dei 3.356 vitalizi erogati fra le 2.308 pensioni dirette e le reversibilità, divise tra le 625 alla Camera e 423 al Senato. Un fardello che si traduce ogni anno in una spesa di 200 milioni di euro, oltre 61 dei quali pagati da palazzo Madama e i restanti 138 da Montecitorio. In questo pozzo senza fondo del privilegio ci sono anzitutto i superfortunati che con una sola legislatura, cioè appena cinque anni di contribuzione, portano a casa il loro bravo vitalizio. Personaggi anche molto noti e quasi sempre ancora nel pieno dell'attività professionale. Nell'elenco compare Toni Negri, ex leader di Potere operaio, docente universitario e scrittore. Venne fatto eleggere mentre era in carcere per terrorismo nel 1983 dai radicali di Marco Pannella. Approdato a Montecitorio, Negri ci restò il tempo necessario per preparare la fuga e rifugiarsi in Francia. Ciononostante, oggi percepisce una pensione di 2.199 euro netti. Stesso importo all'incirca riscosso da un capitano d'industria come Luciano Benetton (al Senato nel 1992, restò in carica solo due anni per lo scioglimento anticipato della legislatura) e da un avvocato di grido come Carlo Taormina. E sono solo due casi tra i tanti. Nel "club dei cinque" sono presenti quasi tutte le categorie lavorative, con nomi spesso altisonanti. Compaiono intellettuali come Alberto Arbasino, Alberto Asor Rosa

e Mario Tronti. Giornalisti di razza come Enzo Bettiza, Eugenio Scalfari, Alberto La Volpe, Federico Orlando; altri avvocati di grido come Raffaele Della Valle, Alfredo Galasso e Giuseppe Guarino; star dello spettacolo come Gino Paoli, Carla Gravina e Pasquale Squitieri. Tutti incassano l'assegno calcolato con criteri tanto generosi quanto lontani da quelli in vigore per i comuni lavoratori.

GIOCHI DI PRESTIGIO
Per i deputati eletti prima del 2008 (per quelli nominati dopo è stata introdotta una modesta riforma di cui solo tra qualche anno vedremo gli effetti) vale il vecchio regolamento varato dall'Ufficio di presidenza di Montecitorio nel 1997. Dice che i deputati il cui incarico sia cominciato dopo il '96 maturano il diritto al vitalizio a 65 anni, basta aver versato contributi per cinque. Fin qui, nulla da dire: il requisito dei 65 pone i deputati sulla stessa linea stabilita per la pensione di vecchiaia dei comuni cittadini. Ma basta scorrere il regolamento per scoprire le prime sorprese. L'età minima dei 65 anni si abbassa di una annualità per ogni anno di mandato oltre i cinque prima indicati, sino a toccare la soglia dei 60. E non è finita. Alla Camera ci sono ancora un gran numero di eletti prima del '96 e per questi valgono le norme precedenti. Secondo queste norme il diritto alla pensione si matura sempre a 65 anni, ma il limite è riducibile a 50 anni e ancor meno (come nel caso di Pecoraro Scanio), facendo cioè valere le altre annualità di permanenza in Parlamento oltre ai cinque anni del minimo richiesto. Questo accade nell'Eldorado di Montecitorio.

A palazzo Madama gli eletti si trattano altrettanto bene. Un regolamento del 1997 stabilisce che i senatori in carica dal 2001 possono, come alla Camera, andare in pensione al compimento del sessantacinquesimo anno con cinque anni di contributi versati. Ma attenzione, anche qui dal tetto dei 65 si può scendere eccome. Possono farlo tutti i parlamentari eletti prima del 2001. Per costoro, il diritto alla pensione scatta a 60 anni se si vanta una sola legislatura, ma scende a 55 con due mandati e a 50 con tre o più legislature alle spalle.


IL BABY ONOREVOLE
Dall'età pensionabile alla contribuzione necessaria per la pensione, ecco un altro capitolo che riporta agli anni bui delle pensioni baby. Si tratta delle pensioni che consentivano alle impiegate pubbliche con figli di smettere di lavorare dopo 14 anni, sei mesi e un giorno (i loro colleghi potevano invece farlo dopo 19 anni e sei mesi). Ci volle la riforma Amato del '92 per cancellare lo sfacciato privilegio. Ma cassate per gli statali, le pensioni baby proliferano tra i parlamentari. Secondo il trattamento Inps in vigore per tutti i lavoratori, ci vogliono almeno 35 anni di contributi per acquisire il diritto alla pensione. I parlamentari invece acquisiscono il diritto appena dopo cinque anni e il pagamento di una quota mensile dell'8,6 per cento dell'indennità lorda (1.006 euro). Fino alla scorsa legislatura le cose andavano addirittura meglio per la casta. Bastava durare in carica due anni e mezzo per assicurarsi il vitalizio (è il caso di Benetton). Il restante delle annualità mancanti per arrivare a cinque potevano essere riscattate in comode rate. Nel 2007 è arrivato un colpo basso: i cinque anni dovranno essere effettivi. Una mazzata per Lorsignori, che si rifanno con la manica larga con la quale si calcola il vitalizio.

RIVALUTAZIONE D'ORO
Sino agli anni Novanta, tutti i lavoratori avevano diritto a calcolare la pensione sui migliori livelli retributivi, cioè quelli degli ultimi anni (sistema retributivo). Successivamente, si è passati al sistema contributivo per cui la pensione è legata invece all'importo dei contributi effettivamente versati. Il salasso è stato pesante. Per tutti, ma non per i parlamentari. Che sono rimasti ancorati a un vantaggiosissimo marchingegno. Invece che sulla base dei contributi versati, deputati e senatori calcolano il vitalizio sulla scorta dell'indennità lorda (11 mila 703 euro alla Camera) e della percentuale legata agli anni di presenza in Parlamento. Con 5 anni di mandato si riscuote così una pensione pari al 25 per cento dell'indennità, cioè 2 mila 926 euro lordi. Raggiungendo invece i 30 anni di presenza si tocca il massimo, l'80 per cento dell'indennità che in soldoni vuol dire 9 mila 362 euro lordi. Vero che con una riforma del 2007 Camera e Senato hanno ridimensionato i criteri di calcolo dei vitalizi riducendo le percentuali: si va da un minimo del 20 dopo cinque anni al 60 per 15 anni e oltre di presenza in Parlamento. Ma a parte questa riduzione, gli altri privilegi restano intatti. Con una ulteriore blindatura, che mette al sicuro dall'inflazione e dalle altre forme di svalutazione: la cosiddetta "clausola d'oro", per cui i vitalizi si rivalutano automaticamente grazie all'ancoraggio al valore dell'indennità lorda del parlamentare ancora in servizio.

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Crisi, chi l'ha sparata più grossa
di Alessandro Capriccioli

Tagliare le ferie degli operai. Riaprire le case chiuse. Tornare alla lira. Tassare gli hamburger. Vendere gli spazzaneve dove nevica poco. Così la recessione ha aguzzato (si fa per dire) l'ingegno

La crisi economica, si sa, dilaga in tutto il mondo, e com'è lecito aspettarsi i governi cercano di arginarne gli effetti con ogni mezzo: ivi compresa l'introduzione di misure che definire stravaganti sarebbe un vero e proprio eufemismo, ma che assicurano, sia pure astrattamente, qualche speranza di reperire una manciata di risorse in più.

Così, specie negli ultimi tempi, nel mirino dei moderni sceriffi di Nottingham di tutto il pianeta sono finiti i comportamenti più disparati. A cominciare dai più comuni, come il consumo di cibo: in Massachussets, ad esempio, si tassano le bibite gassate e addirittura le caramelle, per reperire fondi a favore della prevenzione cardiovascolare e degli stili di vita sani nelle scuole locali; mentre in Ungheria Gabor Csiba, membro del partito conservatore al governo, si è reso promotore di un provvedimento che ha aumentato i prezzi di patatine, bibite e salatini, non soltanto per sconfiggere le malattie cardiovascolari e il diabete, ma soprattutto per far giungere nelle casse pubbliche 110 milioni di Euro.

Non mancano, ovviamente, trovate che riguardano ambiti più controversi: come quella di Jared Polis, membro eletto al parlamento dallo Stato del Colorado per il partito Democratico degli Usa, secondo cui la misura decisiva per uscire dalla crisi potrebbe essere la legalizzazione, e la conseguente tassazione, della marijuana e del poker on line.

Non si tratta, naturalmente, di situazioni che si verificano solo all'estero. Anche dalle nostre parti, forti di una tradizione millenaria di tasse, imposte e gabelle, non ci facciamo mancare niente: ricorrendo, ove necessario, perfino all'istituto del revival nostalgico. Nel dicembre dell'anno scorso, ad esempio, quelli della provincia di Bolzano avevano riesumato un vecchio decreto fascista, che istituiva una tassa sui cani, prima che le polemiche degli animalisti e dei semplici cinofili li costringessero a ritirare precipitosamente il provvedimento.

Per non parlare degli innumerevoli divieti contenuti in una miriade di ordinanze locali, che spesso e volentieri sembrano avere il solo scopo di aiutare i comuni a "fare cassa" e sopperire all'endemica carenza di risorse attraverso l'erogazione di cospicue sanzioni: in numerose spiagge italiane è vietato costruire castelli di sabbia, fumare, occupare il posto con l'asciugamano, portare zoccoli, consumare cibo, mentre in altrettante città è proibito farsi un piercing in determinate parti anatomiche, appoggiare i piedi sulle panchine, sostare in più di due persone nei parchi pubblici, dare da mangiare ai piccioni, raccogliere funghi e addirittura baciarsi.

D'altronde, come si dice, necessità fa virtù: e laddove non bastano i soldi che arrivano da Roma gli enti locali si ingegnano, cercando di raccogliere quello che possono attraverso le contravvenzioni o istituendo tasse che sembrano uscite da un romanzo di fantascienza: tasse sulle bandiere (compreso il tricolore), sui gradini, sui ballatoi, sui matrimoni, sulle invenzioni, sulla raccolta dei funghi e persino sull'ombra.

Non mancano, naturalmente, le misure legate al mondo del sesso: dopo la porno-tax, introdotta in questa legislatura dopo essere stata paventata fin dal 2002, il sindaco di Altopascio Maurizio Marchetti (Pdl) ha proposto di legalizzare le prostitute facendo pagare loro le relative tasse ai comuni, in modo che questi possano sopravvivere nonostante i tagli di Tremonti.

Nulla di così nuovo: l'anno scorso il deputato del PdL Raffaele Lauro propose una tassa sulla prostituzione, proprio mentre il suo stesso governo varava nuove leggi proibizioniste in merito. E sono proprio gli enti locali quelli a cui si è aguzzato di più l'ingegno in questi giorni: a Campobasso, ad esempio, ultimamente hanno notate che gli ultimi inverni sono stati più miti (sarà l'effetto serra) e quindi tenere attivo tutto il servizio spazzaneve non è più così indispensabile, meglio vendere i mezzi e affidare il servizio in outsourcing (sperando che tra sei mesi non arrivi la nevicata del secolo).

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Stupidario
Crisi, chi l'ha sparata più grossa
di Alessandro Capriccioli (18 agosto 2011)


Ma c'è di peggio. Il capo di Confindustria Veneta Andrea Tomat ha proposto addirittura di tagliare le ferie degli operai da 25 a 20 giorni l'anno, devolvendo i cinque giorni di lavoro gratuiti all'azienda. Non si sa da quale località di vacanza Tomat abbia avanzato la sua proposta.

Ma, com'è noto, nel mondo moderno per uscire dalle difficoltà c'è bisogno di incrementare i consumi per dare impulso alla produzione: così, in Cina hanno avuto l'alzata d'ingegno di portare il principio fino alle estreme conseguenze, costringendo - nel senso letterale del termine - i cittadini ad acquistare beni e servizi di varia natura, a prescindere dal fatto che possano nuocere alla loro salute. Nella provincia di Gorgan, per favorire la ripresa economica e smaltire la produzione delle rinomate sigarette "Hubei", gli impiegati sono stati obbligati a consumarne almeno 250 mila pacchetti in un anno: alla faccia della prevenzione, delle campagne antifumo e della salute pubblica.

D'altra parte, che volete farci? E' la crisi, ragazzi.
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