Di seguito un curioso articolo del Sole 24 che parla del prezzo NEGATIVO del petrolio in North Dakota:
Petrolio, in North Dakota primo caso di prezzo negativo
di Sissi Bellomo 18 gennaio 2015
C'è talmente tanto petrolio che ci sono produttori costretti a pagare se vogliono che qualcuno si porti via i barili che hanno estratto. Succede in North Dakota, patria dello shale oil americano, dove per la prima volta per una certa qualità di greggio sono comparsi prezzi negativi. Nell'ultimo listino pubblicato da Flint Hills Resources, società petrolchimica con impianti di raffinazione in Texas e Minnesota, è indicato un prezzo di -0,50 dollari al barile per il Norh Dakota Sour.
Si tratta di un greggio poco appetibile per via dell'alto contenuto di zolfo, che viene estratto in quantità molto limitate: circa 15mila barili al giorno, contro oltre un milione di barili di greggi più leggeri che lo stesso Stato Usa produce nell'area shale di Bakken. Eppure, qualche acquirente in passato lo trovava, sia pure a prezzi fortemente scontati: un anno fa il North Dakota Sour costava già appena 13,50 $/barile, due anni fa 47,60 $. Altri greggi di scarsa qualità o estratti in aree lontane dalle infrastrutture di mercato sono fortemente penalizzati dalle attuali condizioni del mercato. Plains All American, società che movimenta oltre 4 milioni di barili al giorno di petrolio, paga poco più di 13 dollari per il South Texas Sour e l'Oklahoma Sour, altri due greggi solforosi. Anche fuori dagli Stati Uniti ci sono barili di scarsa qualità, che oggi si vendono a prezzi davvero stracciati. Il bitume delle oil sands canadesi, che per essere utilizzato richiede di essere diluito con altri idrocarburi, la settimana scorsa valeva appena 8,50 $/barile contro gli 80 $ di un paio di anni fa. Lo stesso Western Canadian Select, benchmark canadese, vale del resto meno di 15 dollari oggi come oggi.
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Alcuni carichi di Maya, greggio pesante messicano, sono stati scambiati a 12,50 $ mentre con meno di 20 $/barile si comprano il venezuelano Tia Juana o l'iracheno Basra Heavy. La revoca delle sanzioni internazionali concessa all'Iran durante il fine settimana ha ulteriormente affondato le quotazioni petrolifere sui mercati dei future. La prospettiva che Teheran possa riversare in tempi brevi sul mercato altre centinaia di barili al giorno di greggio ha spedito il Brent, principale benchmark internazionale per i prezzi, a un nuovo minimo da 12 anni: 27,67 dollari al barile nella giornata di ieri. Il Wti, rispetto al quale si definiscono i prezzi dei greggi negli Usa, è intanto scivolato a 28,36 $, anche in questo caso un livello che non si raggiungeva dal 2003.
Il viceministro iraniano del Petrolio, Rokneddin Javadi, che è anche al timone della compagnia nazionale, la Iran National Oil (Noc), ha dichiarato che il Governo ha già dato ordine di aumentare la produzione di 500mila barili al giorno. «Se l'Iran non accresce la produzione – ha spiegato – potrebbero essere i Paesi vicini a farlo nei prossimi sei mesi o un anno, per prendersi la quota di mercato dell'Iran». Javadi ha aggiunto che molto probabilmente il prezzo del barile resterà sotto 30 dollari, almeno finché non si raggiungerà «un logico consenso a intervenire sul mercato petrolifero». Il riferimento è all'Opec, che sotto la spinta dei sauditi ha finora tenuto duro, evitando di tagliare l'offerta di greggio per risollevare i prezzi. Ryadh ha sempre sostenuto che avrebbe accettato di chiudere i rubinetti solo con la collaborazione di produttori esterni all'Opec. Su questo fronte forse qualcosa sta cominciando a muoversi.
L'Oman – unico Paese petrolifero del Golfo Persico che non appartiene all'Opec, nonostante estragga circa un milione di barili al giorno – si è esplicitamente fatto avanti. «Siamo pronti a fare qualsiasi cosa pur di stabilizzare il mercato del petrolio», ha dichiarato il ministro Mohammad Al-Rumhy. «Pensiamo di dover tagliare la produzione del 5-10% e che tutti gli altri debbano fare lo stesso». Quanto al ritorno in forze dell'Iran sui mercati, Al-Rumhy è fatalista: «Siamo già stati investiti da uno tsunami, non ci preoccupa la piccola onda che arriva dopo». Più dure le dichiarazioni del ministro del Petrolio degli Emirati arabi uniti, Suhail Al Mazrouei, stretto alleato dell'Arabia Saudita in seno all'Opec. Teheran «ovviamente ha il diritto di produrre quanto vuole», ha commentato, ma gli ultimi sviluppi sono «cattive notizie». «Nell'attuale situazione chiunque immetta più offerta sul mercato renderà le cose peggiori. Non c'è bisogno di uno scienziato per dirlo».
Nel suo ultimo bollettino mensile l'Opec ha nel frattempo indicato che il 2016 sarà «l'anno in cui il mercato comincia a ribilanciarsi». La produzione non Opec, per effetto del crollo del prezzo del barile, dimininuirà infatti di 660mila barili al giorno, più dei 380mila bg che l'Organizzazione stessa prevedeva un mese fa. Nelle nuove stime tuttavia non si tiene conto del possibile aumento della produzione iraniana. Se davvero salirà di un milione di barili al giorno entro fine anno – come Teheran sostiene – ogni sacrificio degli altri produttori sarà vano.
Petrolio, in North Dakota primo caso di prezzo negativo - Il Sole 24 ORE